Premessa: del tema incesto è quasi inutile parlare in Italia, paese dove qualsiasi proposta libertaria sui cosiddetti temi “etici” (come se tutto il resto, dalle riforme del lavoro ai tagli, fosse senza conseguenze sulle persone), suscita reazioni indignate – che gridano al relativismo e allo sfaldamento sociale – perfettamente strumentali a che tutto resti inalterato. E però vale la pena commentare il documento del Consiglio etico tedesco dal quale viene l’indicazione di depenalizzare l’incesto. Un documento che, oltre a indurre una certa nostalgia verso un paese in cui un Consiglio etico ragioni effettivamente sul tema, con meno ingerenze politiche, ideologiche o religiose, propone argomentazioni a mio avviso giuste: per prima, quella per cui “non è compito del diritto penale applicare standard morali o porre limiti alle relazioni sessuali tra cittadini adulti e consenzienti, ma difendere i singoli dai danni e da gravi disturbi”. Un principio liberale semplice e ovvio, ma che nel nostro paese ancora – che punisce una creazione incestuosa, soprattutto quando ne derivi un “pubblico scandalo“, con il carcere, da uno a otto anni – fatica ad essere accettato, e non solo su temi come l’incesto.
Eppure sarebbe estremamente semplice dirimere questioni morali che solo a chi ha pregiudizi o deformazioni ideologiche, di qualunque “colore” siano, appaiono complesse: se un’azione morale crea danni ad altri, va vietata, altrimenti no. Che tipo di danni può creare una relazione sessuale tra consanguinei? Quando non ci sono figli, nessuna, quindi non dovrebbe interessare lo Stato, quando il rapporto è consensuale. La parola “incesto” suscita ancora oggi l’idea di una violenza, magari su un minore – e in quel caso andrebbe punita la violenza, non l’incesto – ma ad esempio nei casi che hanno ispirato il Consiglio etico tedesco si trattava di due persone consenzienti. E forse siamo ancora legati alla convinzione che il sesso tra due persone sia qualcosa di radicalmente separato dall’affetto, mentre invece tra affetto e amore sessuale esiste una differenza di grado, più che di natura.
Ma come tutelare eventuali figli? Anche se su patologie o problemi di figli di relazioni tra consanguinei la letteratura scientifica non è unanime, basterebbe vietare il matrimonio tra parenti, un’indicazione sociale più che sufficiente a scoraggiare una pratica che nella nostra cultura certo non è diffusa come un tempo, tacitamente, nella civiltà contadina. E al tempo stesso porre un limite, come previsto tra l’altro dal decreto del ministro Lorenzin, al numero di figli previsto per ogni donatore nell’ambito della fecondazione eterologa, oltre a stabilire un unico Registro dei donatori.
Per fortuna, comunque, con la legge che equiparava figli naturali e illegittimi è arrivata anche la possibilità di riconoscere i figli di relazioni incestuose (anch’essi portatori di diritti, esattamente come tutti i bambini), che prima era vietata. L’obiezione potrebbe essere: ma se si riconoscono i figli di relazioni incestuose e si depenalizza l’incesto, il passo successivo non potrebbe essere addirittura anche il matrimonio tra consanguinei? Non è detto. Dal punto di vista liberale, forse un’ipotesi del genere non dovrebbe essere del tutto esclusa, ma resta altrettanto vero che andrebbero favorite le pratiche che agevolano l’incontro tra diversità e ricchezze biologiche. Ma allora, se vogliamo seguire rigorosamente il ragionamento, proprio chi considera tabù l’incesto dovrebbe con coerenza difendere e incoraggiare la diversità e l’unione tra diversi in ogni caso, non solo quando il “diverso” rientra tra i suoi standard morali: ad esempio eterosessuale, sposato, cattolico, in una parola come ci hanno insegnato i serial televisivi, “bianco caucasico”.