È stata rimandata di dieci giorni l’esecuzione di Reyhaneh Jabbari, la donna iraniana condannata a morte per aver ucciso a coltellate un uomo che voleva stuprarla. La pena capitale per impiccagione, in programma nella mattinata di martedì 30 settembre, è stata rinviata probabilmente a causa delle proteste che si erano concentrate fuori dalle porte del carcere di Rajaishahr, nei pressi di Teheran, dove la donna era detenuta. La condannata a morte è stata di nuovo trasferita nel carcere di Varamin, a sud della capitale, dove è stata detenuta per sette anni.  Lo segnala il sito di Iran Human Rights (Ihr), organizzazione per la difesa dei diritti umani, citando la pagina Facebook della madre di Jabbari.

La 26enne iraniana è stata condannata a morte per l’omicidio, avvenuto sette anni fa, di un ex impiegato del ministero dell’Intelligence, Morteza Abdolali Sarbandi. Reyhaneh confessò l’omicidio subito dopo l’arresto e dichiarò di aver agito per autodifesa. Ma non le fu consentito di avvalersi di un avvocato durante la deposizione, e venne condannata a morte da una corte penale della capitale iraniana nel 2009. La sentenza fu poi confermata dalla Corte Suprema pochi mesi dopo. A marzo di quest’anno i familiari di Reyhaneh furono informati del fatto che la donna sarebbe stata giustiziata il 15 aprile, ma l’esecuzione fu poi rimandata. Ihr ha lanciato ora un appello alla comunità internazionale affinché “usino i loro canali per fermare l’esecuzione di Reyhaneh”.

“Ci ha telefonato la madre di Reyhaneh – ha spiegato ad Aki-Adnkronos International il presidente dell’associazione Neda Day, Taher Djafarizad – per dirci che le autorità l’hanno avvisata che l’impiccagione avverrà alle 5 del 30 settembre e alle 8 consegneranno la salma della ragazza alla sua famiglia”.  Djafarizad chiede una mobilitazione internazionale per scongiurare l’esecuzione e punta l’indice contro il presidente iraniano Hassan Rohani. “Da quando è al potere le esecuzioni sono aumentate – dice il presidente di Neda Day – Non è un moderato, è sempre stato dentro l’apparato del regime e ha avuto un ruolo in tutte le pagine più nere della Repubblica Islamica. L’Occidente ripone in lui una fiducia ingiustificata”. L’associazione presieduta da Djafarizad, che risiede a Pordenone, ha lanciato una campagna con la quale invita tutti gli italiani a recapitare un messaggio di protesta contro Rohani all’ambasciata iraniana a Roma, nel tentativo di riuscire a fermare l’esecuzione.

Sul caso di Jabbari si è espresso anche l’Onu, mentre artisti iraniani si sono mobilitati per salvarla raccogliendo fondi per il “diyeh“, il cosiddetto “prezzo del sangue” che il condannato deve pagare alla famiglia della vittima se questa è d’accordo a modificare la pena capitale in detenzione. Proprio ad aprile era sembrato che il figlio del funzionario ucciso fosse disposto ad accettare il “diyeh” se la ragazza avesse rivelato il nome di un secondo uomo che sarebbe stato nell’appartamento al momento dell’uccisione del padre. Solo quest’anno sono almeno 550 le persone giustiziate in Iran, ricorda Ihr.

 

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