Continua l’avanzata degli uomini dello Stato Islamico in Siria verso Occidente. I jihadisti hanno lanciato un attacco con missili grad contro la città curda di Kobane, al confine tra Siria e Turchia. Andok Kobane, capo delle forze curde che combattono nella città di Kobane, ha spiegato che i suoi uomini dal 15 settembre sono riusciti a respingere quattro attacchi del Califfato. “Loro usano carri armati, artiglieria e missili”, ha detto Kobane. Attacchi che hanno portato 140.000 civili a fuggire verso il confine turco. Pronta la risposta di Ankara, che secondo Sky news ha posizionato 40 carri armati lungo il suo confine siriano. Intanto il governo turco ha annunciato che sottoporrà una mozione al parlamento per chiedere l’estensione del mandato per incursioni militari in Iraq e in Siria, un provvedimento che sarebbe la base per la piena adesione di Ankara alla coalizione internazionale contro l’Isis.
Sempre sul fronte siriano, dopo notti di bombardamenti Usa contro i centri di comando dell’Isis e le raffinerie petrolifere dei jihadisti, la coalizione internazionale ha lanciato la notte scorsa bombe contro il principale impianto di gas naturale a est del Paese. L’impianto Coneco, nelle mani dei jihadisti, alimenta la centrale di Jandar, nella provincia di Homs, cruciale per la fornitura di elettricità in diverse province del Paese arabo. Novità invece sui cieli iracheni, dove per la prima volta jet britannici hanno colpito il Paese. “L’obitorio di Mosul ha ricevuto i corpi di nove membri dell’Isis uccisi quando gli aerei britannici hanno bombardato roccaforti dell’organizzazione nel villaggio di Sada”, ha fatto sapere l’agenzia irachena Nina citando fonti mediche locali. Tre giorni fa il Parlamento di Londra aveva autorizzato i raid contro lo Stato islamico, ma solo sull’Iraq.
Gli ostaggi tedeschi fanno appello al governo: “Liberateci”
A meno di una settimana dalla decapitazione di Hervé Gourdel, l’ostaggio francese ucciso in Algeria da jihadisti che appoggiano il Califfato , ora è la Germania a tremare dopo che due cittadini tedeschi sono stati rapiti nelle Filippine dal gruppo di Abu Sayyaf, ribelli del sud del Paese, affiliati dell’Isis. Il gruppo ha minacciato di decapitare i due ostaggi se non avranno 4 milioni di euro entro il 10 ottobre. Inoltre, i terroristi chiedono che la Germania smetta di dare sostegno alla missione militare contro l’Isis in Iraq e Siria. “Spero che il mio governo faccia tutto ciò che è in suo potere per ottenere la mia libertà. Ho paura per la mia vita”. Questo l’appello, secondo il Bild, fatto da uno dei due ostaggi rapiti nelle Filippine, un medico di 74 anni. Simili le parole del secondo ostaggio tedesco, una donna 55enne: “Facciamo appello al governo tedesco e a quello delle Filippine affinché facciano tutto ciò che è in loro potere”. Ma il governo tedesco ha già replicato alle minacce che la strategia contro Isis non cambierà, così come quello filippino ha assicurato che non pagherà alcuna somma di denaro ai jihadisti.
Quella di Hervé Gourdel è stata la quarta decapitazione in poco più di un mese per mano di miliziani o simpatizzanti dell’Isis. Il primo a essere ucciso dai terroristi del califfo è stato James Foley, reporter americano rapito in Siria nel novembre 2012 e giustiziato il 19 agosto scorso. Tuta arancione, simile a quella dei prigionieri di Guantanamo, in ginocchio in mezzo a una zona desertica con a fianco il boia John. Scena uguale per la decapitazione di Steven Sotloff e con quella di David Haines. Oltre alle minacce ai due cittadini tedeschi, l’ostaggio che i terroristi hanno indicato come la loro prossima vittima è Alan Henning, un cooperante originario di Manchester, in Inghilterra.
Miliziani: “I bombardamenti aerei servono a poco”
“I raid contro l’Isis sono pura propaganda e danno scarsi risultati“. A dirlo è un combattente dell’Isis in un’intervista esclusiva alla Cnn. “Eravamo preparati da tempo alla possibilità di raid – dice il miliziano Abu Talha – Sappiamo che nostre basi sono note perché ci controllano con radar e satelliti, e quindi ne abbiamo altre di riserva“. Poco efficaci a suo avviso anche gli attacchi aerei ai danni delle raffinerie in mano al Califfato. “Abbiamo fonti di finanziamento diverse – sottolinea l’intervistato, ripreso dalla telecamera in modo che il suo volto non sia riconoscibile – Le nostre finanze non si esauriranno per la perdite del petrolio”. Le precauzioni prese dai miliziani in vista degli attacchi aerei sono confermate anche da un disertore dell’Isis, che a volto coperto parla con la Cnn dalla Turchia. “Hanno completamente svuotato le loro basi – dice Abu Omar dei suoi ex compagni – e nascosto gli equipaggiamenti nei quartieri civili oppure sotto terra“.
Il 70% dei militari Usa dice “no” a truppe di terra in Iraq
Mentre continuano i bombardamenti della Coalizione in Iraq e Siria, il 70,1% dei militari americani sono chiari e non vogliono vedere truppe di terra schierate in Iraq. Lo rivela un sondaggio di Military Times, effettuato tra i membri in servizio attivo delle forze Usa. “È il loro Paese, è loro compito, non credo che l’invio di truppe di terra sia la risposta” ha commentato un ufficiale di fanteria dell’esercito, che in Iraq è stato tre volte, chiedendo di rimanere anonimo. Inoltre, sempre secondo il sondaggio, solo il 30% delle truppe in servizio sostiene che la guerra in Iraq è stata “un successo”. Una percentuale più che dimezzata rispetto al 2011, quando risposero positivamente il 64% degli intervistati. Molti membri dell’esercito americano, inoltre, ritengono che l’attuale crisi in Iraq poteva essere evitata se il presidente Usa Barack Obama avesse garantito una presenza americana sul territorio anche dopo il 2011.