Cultura

Lena Dunham, autobiografia di un successo imperfetto: “Not that kind of girl”

28 anni, una copertina di Vogue America, 1 milione e 760mila follower su Twitter, una produzione dal successo mondiale (la serie "Girl") e ora un contratto da 3,5 milioni di dollari per la pubblcazione del suo libro, "Not that kind of girl". La produttrice americana ha costruito la sua carriera basandosi sulle proprie imperfezioni (del corpo e dall'anima): diete fallite, uomini da dimenticare, amicizie perse per strada

di Ludovica Liuni

Irriverente, autoironica, brillante; ma anche goffa, nevrotica e complicata. Lena Dunham, 28 anni e un curriculum che parla da sé, è tutto questo e anche qualcosa in più. Già autrice, produttrice e interprete della serie Girls, ora debutta anche nel mercato editoriale con il libro “Not that kind of girl”, – Non sono quel tipo di ragazza – disponibile in contemporanea in tutto il mondo dal 30 settembre e già tradotto in 22 lingue. Volubile nei modi e camaleontica nell’aspetto, Lena Dunham ha deciso di mettere nero su bianco la sua storia dopo che la casa editrice americana Random House le ha offerto un contratto da 3,5 milioni di dollari. Un bel salto in avanti per questa ragazza dal successo precoce, già vincitrice di due Golden Globe e un Emmy Awards, che nel libro ripercorre le tappe fondamentali della sua vita e della sua carriera. Ma niente autocelebrazioni o consigli per diventare una donna da sposare: Lena ha costruito un’intera carriera sulle imperfezioni (del corpo e dell’anima) e l’intento è quello di continuare su questa strada. Diete fallite, uomini da dimenticare e amicizie perse per strada: “Non sono una donna felicemente sposata o la proprietaria di un franchise di biancheria di successo”, ha scherzato, “ma una ragazza con uno spiccato interesse ad avere tutto questo e vi manderò speranzosi dispacci dal fronte della mia guerra”.

Ma com’è arrivata la fama per questa quasi trentenne piuttosto lontana dagli standard di bellezza hollywoodiani? Nata e cresciuta tra Soho e Brooklyn, figlia dell’artista Laurie Simmons e del pittore Carroll Dunham, Lena si è nutrita fin da piccola di pane e creatività, anche se, come ha candidamente ammesso nel salotto di David Letterman, se non avesse intrapreso questa carriera sarebbe diventata una postina (“e conoscendomi avrei letto le lettere di tutti”, ha scherzato). Ma subito dopo gli studi alla Saint Ann’s School di Brooklyn è arrivato il successo, grazie al lungometraggio “Tiny furniture”, lavoro che le ha spalancato le porte della HBO e le ha permesso di produrre interamente – a soli 25 anni – Girls, tre stagioni e una quarta già in cantiere (in Italia la prima e la seconda serie sono andate in onda su Mtv). Nel format Lena interpreta Hannah Horvat, squattrinata scrittrice del Michigan che vive a New York, dove condivide l’appartamento con la migliore amica Marnie. A completare il quadro ci sono le altre due compagne (Jessa e Shoshanna), una serie di uomini che vanno e vengono e un rapporto conflittuale con il proprio fisico, il sesso e la moda. Il soggetto interpretato dalla Dunham è spiccatamente autobiografico (“A volte questa cosa mi fa vergognare, altre volte mi rende orgogliosa”, ha raccontato) e passa ore a ingurgitare junk food e a controllare le sue piccole nevrosi. Ed è qui che si nasconde la forza del suo personaggio: che si tratti o meno di un cattivo esempio, la Dunham ha generato un processo di identificazione da parte di milioni di giovani donne che, come lei, hanno difficoltà ad accettare le forme del proprio corpo.

Con 1 milione e 760mila followers su Twitter e una copertina su Vogue America alle spalle, l’autrice si professa una femminista dei giorni nostri e ha dichiarato che non sposerà il suo compagno finché i gay non potranno godere dello stesso diritto. Il suo libro si pone come un mezzo per mettere la propria esperienza di adolescente sovrappeso e impacciata al servizio di chi combatte ogni giorno contro i pregiudizi di una società che punta alla perfezione. Così Lena si è identificata ancora una volta nel suo alter ego Hannah Horvat, che nel primo episodio della serie fantasticava: “Penso di poter essere la voce della mia generazione. O almeno una voce. Di una generazione”. Un altro sogno diventato realtà.

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