La Suprema Corte, accogliendo la tesi della difesa, ha riconosciuto la "causa di forza maggiore" e escluso la punibilità per il mancato versamento: "E' dipeso da un evento estraneo alla sua sfera di controllo"
L’unico cliente era fallito. La liquidità per versare l’Iva non c’era. Così l’imprenditore non ha pagato il dovuto al fisco. Tribunale e Corte d’appello di Catania lo avevano condannato, ma ora la Cassazione lo assolve accogliendo la tesi della difesa: “Causa di forza maggiore“. Insomma: non c’è stato dolo. La terza sezione penale, nella sentenza 40394 del 30 settembre, ha spiegato che “per poter ravvisare la causa di giustificazione della forza maggiore è necessario aver acquisito la prova rigorosa che la violazione del precetto penale è dipesa da un evento del tutto estraneo alla sfera di controllo del soggetto agente”. Cioè, in questo caso, il fallimento. Di qui la decisione della Suprema Corte, che ha escluso il dolo generico e quindi la punibilità dell’imprenditore per il reato di evasione.
Non solo: la Cassazione invita tutti i giudici a decidere, in casi simili, non secondo un principio generale ma in base alle “peculiarità” della vicenda. Tradotto: non basta essere evasori di fatto per essere puniti come tali. Una tesi che riecheggia vecchie prese di posizione sull'”evasione di sopravvivenza”, copyright Silvio Berlusconi, Stefano Fassina ma anche Attilio Befera. Ovvero l’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate. Rossella Orlandi, che ha preso il suo posto in giugno, sembra non pensarla così. Almeno a giudicare dall’incidente diplomatico che l’ha vista protagonista in luglio, quando ha denunciato la tendenza “di matrice cattolica” a “fare peccato e ottenere l’assoluzione”.