Non causerebbe solo semplici cattivi odori, ma avrebbe ripercussioni dirette sulla salute dei cittadini: per questo motivo è stato disposto il sequestro preventivo per l’impianto di biostabilizzazione dei rifiuti di Poggiardo, in provincia di Lecce, uno degli snodi essenziali in Puglia degli interessi economici del gruppo Marcegaglia. Appartiene, infatti, alla Progetto Ambiente Bacino Lecce 2 srl, società appartenente al consorzio Cogeam, di cui è socia al 51 per cento, appunto, la Marcegaglia spa. Il restante delle quote è nelle mani della Cisa di Antonio Albanese, tra l’altro il legale rappresentante della Progetto Ambiente e, in queste vesti, indagato ora per getto pericoloso di cose. Assieme al suo nome, nel registro degli indagati sono finiti anche quelli del responsabile dell’impianto di Poggiardo, Gianluca Montanaro, e del delegato in materia ambientale, Carmine Carella.

Le acque pugliesi si fanno agitate per il gruppo mantovano, almeno indirettamente, attraverso il consorzio creato ad hoc per gestire il ciclo della spazzatura del Tacco d’Italia. Il 23 aprile 2013, finì sotto chiave la discarica di Conversano, nel Barese, che, stando alle indagini coordinate dal pm Baldo Pisani, non è stata costruita come avrebbe dovuto: le vasche hanno registrato perdite consistenti, tali da contaminare il terreno circostante. Anche in quel caso a finire nei guai è stato Antonio Albanese, assieme ad altre dieci persone, di cui tre membri della Commissione collaudo della Regione Puglia. Poi, è stata la volta delle contestazioni per la realizzazione della nuova discarica sulla falda acquifera di Corigliano d’Otranto, la cui apertura è al momento congelata.

Adesso, si va oltre. Il decreto di sequestro preventivo, firmato dal gip Alcide Maritati su richiesta del pm Antonio Negro, fornisce una fotografia per niente semplice del biostabilizzatore di Poggiardo: “Misure di cautela e prevenzione totalmente disattese”, emissioni di biogas “non consentite”, conseguenze sulla salute accertate. E’ tutto nero su bianco, dopo le scrupolose indagini condotte dai carabinieri del Noe di Lecce, al comando del maggiore Nicola Candido, e dagli agenti della Polizia Provinciale. Entro 15 giorni, l’impianto di località Pastorizze dovrà essere adeguato, altrimenti sarà fermato. E’ lì che vengono conferiti i rifiuti solidi urbani di 46 comuni del Salento e che ci fossero da anni problemi legati ad insopportabili miasmi era risaputo. Anzi, il gip parla chiaro: “Nonostante fosse nota da tempo l’esistenza di indagini, i responsabili della gestione non hanno posto rimedio”.

Le segnalazioni di residenti e amministratori della zona si sono affastellate e per il Tribunale di Lecce è indubbio che siano quegli odori nauseabondi a generare “emicrania, irritazioni congiunturali, epigastralgia, mal di stomaco, difficoltà respiratorie, tosse, nausea, inappetenza, fastidio, disagio, disturbo del sonno, turbamento della tranquillità e della quiete delle persone, che sono costrette, in particolare nel periodo estivo, a soggiornare nelle loro abitazioni con porte e finestre chiuse”. Non solo danni per la salute, ma anche economici: le strutture ricettive della zona, per la troppa puzza, sono state costrette a dire addio a una fetta “consistente” di clientela. A determinare il tutto sarebbero “le emissioni in atmosfera di biogas, provocate dalla gestione dell’impianto, a causa della mancata adozione di accorgimenti diretti ad assicurare la corretta captazione e il razionale convogliamento di notevoli quantitativi di biogas”. “Emissioni – è specificato – non certamente consentite, ma vietate da regole generali o speciali che impongono misure di cautela e prevenzione, totalmente disattese nel caso in esame”. Un punto, infine, la dice lunga sul resto: finora è mancato un “monitoraggio autonomo e indipendente” che verificasse il superamento o meno dei limiti di accettabilità dei miasmi. E’ proprio ciò che sta cercando di capire adesso l’Arpa Puglia, a cui la Procura ha affidato una consulenza tecnica.

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