Prima di essere formalmente affiliato a Cosa Nostra, di essere “punciuto” mentre un’immaginetta sacra veniva bruciata, Sergio Flamia chiese il “permesso” agli uomini dei servizi con cui era in contatto. E gli uomini dell’intelligence glielo accordarono: apparati dello Stato avrebbero dunque consigliato al boss di Bagheria, già considerato uomo di Cosa Nostra ma affiliato soltanto nel 2010, di entrare formalmente nell’organizzazione. E in seguito furono gli stessi agenti dei servizi a dare parere positivo al boss mafioso in merito alla sua intenzione di collaborare con la magistratura.

A raccontarlo davanti ai pm che indagano sulla Trattativa Stato-mafia è lo stesso Flamia, che da circa un anno è diventato un collaboratore di giustizia. Prima di saltare il fosso e di collaborare coi magistrati, l’uomo d’onore di Bagheria ha ammesso di aver avuto rapporti opachi con uomini dei servizi: forniva informazioni in cambio di denaro. Dopo aver soffiato agli 007 di un incontro tra boss di primo piano alle porte del comune in provincia di Palermo, dai fondi riservati dei servizi sono arrivati a Flamia 160mila euro in contanti. Denaro consegnato a un emissario di Flamia, che in quel momento era detenuto, durante un incontro all’Hotel Zagarella, con l’esplicito ordine da parte degli 007 di non versare i soldi in banca, perché avrebbero lasciato traccia.

Di quella dazione di denaro il boss di Bagheria parlerà poi con il figlio, durante alcuni colloqui in carcere, che vengono intercettati dagli inquirenti. Il figlio di Flamia chiede informazioni su quel denaro ricevuto da mani oscure, e il boss risponde spiegando che “questi non sono sbirri normali, sono molto in alto”. Poi fa cenno ad un tale Enzo, che sarebbe uno dei suoi ganci con i Servizi : “Quello non si fa sentire più, il culo gli fa così (ovvero ha paura ndr) perché per ora è ogni giorno sui giornali”. Dopo la decisione di collaborare con i magistrati, Flamia sminuirà il tenore di quelle intercettazioni, sostenendo di non riferirsi ad uno specifico agente dei servizi.

Analizzando la rassegna stampa dell’epoca, però, gli inquirenti si rendono conto che in quel momento le uniche notizie attinenti ai servizi che circolano sui giornali sono quelle relative all’identificazione del Signor Franco, l’oscuro 007 in contatto con Vito Ciancimino tirato in ballo dal figlio Massimo, e le nuove dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, che fa cenno ad esponenti esterni a Cosa Nostra nella preparazione dell’autobomba utilizzata nella strage di via d’Amelio. Elementi che fanno pensare ad un collegamento netto tra gli 007 in contatto con Flamia, e i misteri ancora irrisolti della stagione stragista al centro della trattativa tra pezzi delle Istituzioni e Cosa Nostra.

È per questo motivo che i pm Roberto Tartaglia, Nino Di Matteo, Vittorio Teresi e Francesco Del Bene considerano molto rilevante il rapporto tra il boss di Bagheria e gli apparati. Un rapporto recente, dato che Flamia racconta di aver avvertito gli 007 della sua scelta di collaborare con la magistratura tramite i suoi familiari. Quando ancora non aveva deciso di collaborare con gli inquirenti, invece, alcuni agenti dei servizi sarebbero andati a trovarlo direttamente nel carcere Ucciardone a Palermo, spacciandosi per avvocati: è per questa ragione che il fascicolo aperto sulla vicenda per il momento imputa agli 007 che hanno avuto contatti con Flamia il reato di falso ideologico. I verbali del pentito di Bagheria sono stati trasmessi alla procura generale, che vorrebbe depositarli agli atti del processo d’appello contro Mario Mori e Mauro Obinu per il mancato arresto di Bernardo Provenzano.

Nel frattempo al secondo piano del Palazzo di Giustizia di Palermo va avanti l’inchiesta sul Protocollo Farfalla, l’accordo segreto siglato tra Sisde e Dap nel giugno 2004, attivo già dai primi mesi nel 2003: un patto che prevedeva l’arrivo di somme di denaro per otto boss detenuti in regime di 41 bis in cambio di informazioni. Tra i boss che accettarono di fare da confidenti ai servizi anche Fifetto Cannella, condannato all’ergastolo per la strage di via d’Amelio. Quelli che arrivano ai servizi, dunque sono racconti provenienti direttamente dal ventre molle di Cosa Nostra: è un mistero però di che tipo di informazioni si tratti, e soprattutto come i servizi le utilizzarono.

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