Mafie

Camorra, il castello dei Galasso sul lago d’Orta sarà “affidato” alla regione Piemonte

La struttura, confiscata, è nelle mani della famiglia del boss Pasquale Galasso perché nessuna istituzione vuole gestirlo. Ora una mozione del Consiglio regionale obbliga la giunta di Sergio Chiamparino ad attivarsi per il riutilizzo sociale del Castello di Miasino, in provincia di Novara

Da anni uno castello sul lago d’Orta è confiscato alla camorra, ma resta nelle mani della famiglia di un boss perché nessuna istituzione vuole gestirlo. Ora una mozione del Consiglio regionale del Piemonte obbliga la giunta di Sergio Chiamparino (nella foto) ad attivarsi per il riutilizzo sociale del Castello di Miasino, in provincia di Novara. Martedì pomeriggio l’assemblea ha approvato all’unanimità la mozione di Domenico Rossi, consigliere regionale del Pd, per anni referente novarese di Libera con cui ha fondato l’Osservatorio provinciale sulle mafie. 

Il castello, con un parco di seimila metri quadri sul lago d’Orta, era una residenza nobiliare fatta costruire dai baroni Solaroli nel 1867. Negli anni Ottanta è passato nelle mani di Pasquale Galasso, boss della Camorra arrestato nel 1992 e poi diventato un collaboratore di giustizia. Nonostante il pentimento Galasso ha mantenuto interessi economici nella gestione di questa struttura, che è rimasta nelle mani della sua famiglia: dopo il sequestro il tribunale di Napoli ha affidato la struttura a una società, la “Castello di Miasino srl” che alcuni anni dopo è stata rilevata dalla moglie di Galasso, Grazie Galise. Sebbene nel 2007 siano arrivate le condanne definitive a Galasso e la confisca, la società ha continuato e continua a gestire il castello per organizzare cerimonie di lusso, matrimoni, convention, sfilate di moda e altro.

Inutile è stata l’ordinanza di sgombero voluta nella primavera del 2011 dall’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata: i gestori continuano a occupare quegli spazi, anzi si sono opposti allo sfratto. E così da allora è cominciata tutta una serie di strascichi giudiziari infiniti. “Mi risulta che loro siano occupanti sine titulo, ma non sono mai stati mandati via – spiega Domenico Rossi -. La famiglia si è opposta allo sgombero, ma nel 2012 il tribunale ha respinto la loro opposizione. Poi c’era pure un’ipoteca sul bene”. Se la società continua le sue attività indisturbata è anche perché nessun’istituzione ha voluto prendere l’immobile in gestione: l’Agenzia ha chiesto alla Regione Piemonte, alla Provincia di Novara e ai comuni di Miasino e Ameno se volessero farlo, ma finora solo il secondo ente ha dato una risposta negativa per l’ipoteca di tre milioni e per gli alti costi di gestione e manutenzione. La giunta regionale del novarese Cota invece aveva rinviato la valutazione, mai più arrivata. 

Secondo a Rossi l’ipoteca non dovrebbe essere più un problema: “Tra i documenti dell’Agenzia nazionale che ho potuto vedere c’è una relazione notarile secondo la quale dopo venti anni è decaduta, anche per via del passaggio di proprietà. Pure la Cassazione ha posto un limite all’ipoteca dei beni confiscati”. Adesso, dunque, la giunta di Chiamparino dovrebbe capire cosa fare. “La Regione potrebbe prenderlo per sé, ma le condizioni del suo bilancio sono note – afferma il consigliere riferendosi al debito enorme -. La strada percorribile sarebbe l’assegnazione per il riutilizzo sociale che tengano conto della sostenibilità economica e delle sue attività. Le possibilità sono molte, sta alla Regione e alla società civile farsi avanti. A gestirlo potrebbe essere una cooperativa o un’iniziativa che unisca pubblico e privato insieme”. 

Twitter @AGiambartolomei