L’ennesimo slogan ad effetto. O a voler essere più indulgenti, una mezza verità. Quando ieri pomeriggio, nel pieno del dibattito sul Dl Stadi, Matteo Renzi ha tuonato sul suo profilo Twitter che “gli straordinari delle forze dell’ordine impegnate negli stadi devono essere pagati dalle società di calcio, non dai cittadini”, tanti hanno pensato ad una vera e propria rivoluzione. Probabilmente gli stessi club, che infatti hanno subito cominciato a protestare in ordine sparso per mezzo dei loro rappresentanti, dal presidente della Lega Pro Mario Macalli al numero uno della Figc Carlo Tavecchio. In realtà sarà così solo in parte: le società pagheranno, ma al massimo un terzo della cifra che lo Stato spende ogni anno per garantire l’ordine pubblico fuori dagli stadi (altra imprecisione del tweet del premier: all’interno ci sono solo gli steward privati). Perché alla fine il decreto legge che oggi pomeriggio verrà votato dalla Camera non andrà a toccare i diritti tv, autentica (probabilmente unica) miniera d’oro del calcio italiano.
La vicenda va ricostruita con ordine. A partire da quanto successo in commissione Affari costituzionali, dove è stato approvato un emendamento a firma del deputato Pd Emanuele Fiano che introduce un prelievo dall’1 al 3% sugli incassi da stadio delle società italiane. Secondo il Movimento 5 stelle, però, questo contributo non era sufficiente: pochi spiccioli, a confronto dei 25 milioni di euro che nell’ultima stagione il Viminale ha sborsato per la sicurezza nei weekend calcistici. Ecco allora la proposta del deputato Tancredi Turco di andare a prelevare la stessa percentuale dai proventi delle emittenti televisive, che valgono circa un miliardo di euro a stagione. Il Partito democratico in un primo momento aveva respinto l’idea, ritenendo che la questione fosse esaurita. Poi ci ha ripensato, facendo sua la proposta dei Cinque stelle: per il dibattito in aula era pronto un secondo emendamento, sempre a firma dell’onorevole Fiano, che avrebbe comportato una tassa sui ricavi complessivi delle società (biglietti più diritti tv). Ma la necessità di porre la fiducia sul decreto (sorta ieri pomeriggio presto, prima della dichiarazione di Renzi) ha fatto saltare quest’ulteriore modifica.
Il testo che verrà licenziato dalla Camera, dunque, prevedrà solo un prelievo dall’1 al 3% sulle entrate derivate dalla vendita di biglietti e abbonamenti. Una voce su cui la Serie A nell’ultimo anno ha fatturato 186 milioni di euro, e che non salirà di molto nella stagione 2014/2015. A questa cifra vanno aggiunte qualche decina di milioni da Serie B e coppe (Champions e Europa League comprese). L’importo totale dovrebbe aggirarsi fra i 220 e i 250 milioni di euro: nella migliore delle ipotesi, fanno 7,5 milioni di euro (ma nella peggiore solo 2,5). Senza dimenticare che i decreti della presidenza del Consiglio dovranno ripassare dalle varie commissioni parlamentari (ed in particolare da quella Bilancio) prima di essere emanati. Comunque sia, si tratta di una fetta relativa del costo delle manifestazioni sportive, anche se il ministero prevede una diminuzione proprio grazie alle norme contenute all’interno del Dl stadi.
L’intenzione del governo resta quella di arrivare a coprire l’intero importo con contributi delle società. “Per il me il punto di riferimento sono sempre quei 25 milioni di euro stimati dal Viminale”, spiega a ilfattoquotidiano.it l’onorevole Fiano. Per questo la vicenda non si chiuderà oggi col voto della Camera. Insieme al decreto, potrebbe essere approvato anche un ordine del giorno che impegni l’esecutivo a pensare ad un ulteriore provvedimento riguardante i diritti tv o comunque un prelievo su altre entrate che arrivi alla cifra stabilita; sicuramente una proposta in tal senso arriverà dal M5s, forse ce ne sarà una anche del Pd. “Intanto – conclude Fiano – è stato affermato un principio: i club di calcio devono pagare gli extra delle forze dell’ordine per le loro partite”. Sul quanto si vedrà in seguito. Si apriranno tavoli tecnici e di confronto. E i presidenti avranno sicuramente modo di organizzarsi e far sentire la propria voce. L’impressione, insomma, è che le società se la siano cavata a buon mercato: al massimo qualche centinaia di migliaia di euro l’anno, spiccioli nel bilancio di un top club.