Benvenuti a Ulaanbaatar, capitale della Mongolia, una delle città più inquinate del mondo. È qui che si svolge la storia scritta dallo statunitense Leonard J. Monk, UB Underground. Il romanzo narra le vicende di Nergui, un perdigiorno che deve molti soldi a Gestapo, l’usuraio del Distretto 3. Dopo l’ennesimo tentativo di farla franca, Nergui viene mutilato, costretto ad abbandonare il quartiere e ad andare a vivere nel sottosuolo, insieme a centinaia di altri disperati. Inizia così per lui un viaggio negli inferi della metropoli asiatica, fra espedienti, furti, abuso di droghe e la difficile ricerca di un riscatto per riguadagnarsi l’amore di Saran.
“La strada. La strada polverosa. Il cuore putrescente del Distretto 3, dove per anni i russi hanno costruito palazzi celebri per perdere pezzi il giorno seguente all’inaugurazione.Cento anni fa qui non c’era nessuna fottuta città. Solo gher, solo i bugigattoli dei mercanti cinesi, solo i monaci che omaggiavano le statue di Budda, divenute cenere. Qui, nel Distretto 3, nella magica e isterica Ulaanbaatar. UB. L’agglomerato urbano più brutto del mondo. In inverno venti gradi sotto zero, il cielo limpido come la morte. In estate un’afa soffocante e fetida inghiotte ogni cosa. UB, la città edificata in una conca. Le colline aride e nude iniziano a ridosso delle ultime gher. Non ci sono periferie. Tutto inizia all’improvviso e in maniera eccessiva. Dalla steppa illimitata si arriva direttamente nel cuore putrido di questo immondezzaio edilizio.”
Pubblicato in Italia da Koi Press (che lo ha messo a disposizione democraticamente e gratuitamente su tutti gli store online), UB Underground è un romanzo dal ritmo asciutto e dai continui colpi di scena. È una vicenda allucinata e cupa, che denuncia la disperata condizione di migliaia di persone costrette a vivere tra le tubature e i cunicoli sotterranei della città. Un popolo di dimenticati, imbottiti di vodka al metanolo, avvezzi alla compagnia dei topi e del gelo.
“C’è Yul, la faccia grassoccia, le labbra spesse e serrate, con un sorriso che non gli arrivava agli occhi. Yul che un tempo era un geologo, o qualcosa del genere. Yul che durante il giorno emerge dal sottosuolo per andare a raccogliere rifiuti destinati alle imprese di riciclo. Gli spiccioli che guadagna li dà ai Randagi per potersi sbattere qualcuna delle bambine scheletriche e mezze sceme che loro forniscono. C’è Kuzhuk, un uomo alto e corpulento con lisci e diradati capelli grigi. Le sue mani puzzano di merda, il suo alito puzza di merda, i suoi vestiti puzzano di merda. Implacabile avanzata del fetore. C’è Zandraa, con la barba infestata da avanzi di cibo, avvolto nei molteplici stati marcescenti del cappotto, che trema in preda all’astinenza. E guardiamo i Randagi che ballano e ridono. Li guardiamo, invisibili ma rintracciabili, grazie all’odore che ci precede e ci segue. Le tubature calde che ci fanno sudare. I topi che passano correndo. Gli scarafaggi che cadono sotto i colpi dei tacchi dei ballerini. Le bambine in un angolo buio. Le guance scavate. Le mani piene di calli. Gli occhi infossati. Festa grande nel sottosuolo. Festa continua. Senza interruzione.”
Scritto con uno stile che a volte ricorda le prime opere di Irvin Welsh e di David Peace, UB Underground è un romanzo che non conosce pietà, un romanzo curioso e interessante, scritto da un autore circondato da un’aura di mistero, che ci fa conoscere una realtà poco nota come quella della contemporanea capitale mongola e ci fa riflettere sui pericoli della modernizzazione sfrenata, senza limiti, senza regole, verso un futuro sempre più lontano da toccare con mano per migliaia e migliaia di esseri umani.
“Chingeltei, Bogd Khan, Songino Khairkhan, Bayanzürkh, i quattro monti, i quattro punti cardinali che proteggono al mondo la vista di questa orribile città fecale. Che il deserto la sommerga, che il vento corroda le impalcature dei palazzi, il cemento delle case del Distretto 3, che il gelo si sciolga e l’acqua inquinata trascini via le macchine dei puttanieri, i suopermarket di Peace Avenue, che il terremoto faccia crollare la statua di Sükhbaatar, i grattacieli di Uul, e i vetri del palazzo a forma di vela si infrangano in mille schegge accuminate a pugnalare i poliziotti, gli spazzini, i giacca e cravatta, lo stregone ambulante di Gesar Süm, i cani randagi. Che tutto venga sovvertito, stravolto, capovolto, che il sopra diventi il sotto e che i disperati del sottosuolo imparino a vivere alla luce, a sopravvivere all’aria aperta, intossicati dal sole. Gengis Khan voleva conquistare il mondo. La puzza dell’orda d’oro anticipava l’arrivo con il suo fetore decomposto. UB puzza così, di decomposizione, sconfitta e carbone.”