Volete capire perché l’Italia non riesce ad agganciare la
ripresa? Guardate il caso delle
aperture domenicali dei negozi. In Parlamento un fronte trasversale di anime belle ha deciso che bisogna santificare le feste (le parrocchie soffrono la concorrenza dei supermercati) e che la
liberalizzazione degli orari di apertura voluta dal governo
Monti andava ribaltata. Dimentichiamo per un attimo le discutibili premesse economiche (aumentare gli orari di apertura non serve ad aumentare l’occupazione) e concentriamoci sul risultato, cioè sulla
legge approvata alla Camera il 25 settembre. Funziona così: viene introdotto l’
obbligo di chiusura per almeno sei dei dodici giorni festivi dell’anno indicati nel testo. Quali? Ognuno può scegliere, ma deve comunicarlo al Comune competente, sulla base delle indicazioni di un apposito decreto che il ministero dello Sviluppo emanerà dopo aver consultato l’
Anci, cioè l’associazione dei Comuni. Finito qui? Neanche per idea: ogni Comune, coordinandosi con quelli vicini, può “predisporre accordi territoriali non vincolanti per la definizione degli orari e delle chiusure degli
esercizi commerciali”. Le Regioni e i Comuni possono addirittura dare incentivi e agevolazioni fiscali per spingere le imprese ad aderire a questi accordi (e perché? Boh). E comunque per decidere in quali zone applicare questi accordi, le Regioni devono consultare le associazioni di categoria, che così hanno qualcosa da fare. Una montagna di burocrazia legislativa solo per costringere i negozi a stare aperti un po’ meno.
Regole così farraginose hanno almeno una validità universale? Ovviamente no, siamo in Italia, il Paese delle eccezioni: sono esenti dai vincoli le “attività di somministrazione di alimenti e bevande”. I parlamentari sono ancora nell’Ottocento: non sanno che molti di noi possono passare una domenica o il giorno di Pasqua senza pane o birra ma non privi di un caricabatterie dell’iPhone. E chi vuole sfidare la legge? Sanzione da 2mila a 12mila euro, i recidivi possono vedersi chiudere il negozio anche per dieci giorni.
Le grandi potenzialità del capitalismo italiano saranno forse frenate dall’articolo 18, ma i nostri parlamentari non si rendono conto che i famosi “lacci e lacciuoli” con cui la politica ama imbrigliare le imprese possono diventare cappi letali in tempo di recessione. E che il modo migliore per garantire la domenica libera a commessi e clienti è lasciarli tutti disoccupati. Alla Ducati di Bologna (controllata dai tedeschi dell’Audi) gli operai, inclusi quelli della Fiom, sono soddisfatti di aver firmato un accordo che stabilisce massima flessibilità, anche sui turni domenicali. In cambio le 30 ore settimanali saranno pagate come se fossero 40 e ci saranno 13 assunzioni. Tutti contenti. Non parlatene troppo in giro, però, o alla Camera vieteranno anche quello.
Il Fatto Quotidiano, 1 ottobre 2014