Autogrill abbandona l’aeroporto di Napoli. I sei punti vendita dello scalo di Capodichino, tra bar e ristoranti, dal 30 settembre hanno chiuso i battenti. Una scelta, fanno sapere dalla società, dovuta alle continue perdite e ai cali di fatturato degli ultimi anni. Intanto gli 81 dipendenti, oggetto di una procedura di licenziamento collettivo, sono rimasti senza lavoro e senza neanche la copertura degli ammortizzatori sociali.
“Tentazioni”, “Obika”, “Ciao” e “Acafè”: là dove c’erano questi locali, ora c’è il vuoto. L’azienda, infatti, ha provveduto a sgomberare ogni segno di attività da quegli spazi che aveva occupato per anni: nel giro di poche ore, a partire dalla notte, sono sparite insegne, tavolini, macchine del caffè, forni, frigoriferi. Fonti aziendali precisano che la fretta di sgomberare i locali è dovuta a un accordo stretto con Gesac, la società aeroportuale, che prevedeva la restituzione degli spazi proprio entro il 30 settembre. Una volta arrivati sul posto, i dipendenti hanno potuto solo assistere allo smantellamento del proprio posto di lavoro. Impossibile, per loro, anche manifestare davanti ai locali.
“La polizia aeroportuale ci ha fatto spostare le nostre bandiere adducendo problemi di ordine pubblico”, racconta Luana Di Tuoro, segretaria regionale Filcams Cgil. E i lavoratori aggiungono di avere trovato piantonato l’ingresso del parcheggio per impedire loro l’accesso. Ora, i dipendenti si ritrovano senza lavoro e senza reddito. “Il contratto del turismo non prevede la mobilità assistita – spiega Marco Verde della Fisascat Cisl – Dovremo fare richiesta di Aspi, la nuova forma dell’indennità di disoccupazione”. Nel frattempo si cercheranno altre soluzioni. “Abbiamo chiesto a Gesac se c’è una trattativa per trovare società subentranti e se è possibile una ricollocazione dei lavoratori – spiega Di Tuoro – Anche perché nell’aeroporto è rimasto solo un bar: al licenziamento dei dipendenti si aggiunge un disservizio per gli utenti dello scalo”.
La chiusura dell’attività, in realtà, è l’epilogo di una vertenza che dura da mesi. Già a gennaio, Autogrill si preparava a cedere la gestione dei punti vendita a un’altra società, la Colle srl. I dipendenti avevano organizzato scioperi e manifestazioni, chiedendo la garanzia di essere riassorbiti dalla nuova azienda. C’era anche chi era arrivato a incatenarsi. Il passaggio di consegne, poi, non era andato in porto e la gestione era rimasta in mano ad Autogrill. Il 18 luglio, l’azienda ha avviato una procedura di licenziamento collettivo per tutti gli 81 dipendenti di Capodichino. Nel documento consegnato ai sindacati, la società snocciola i numeri che hanno portato a questa decisione.
Nel sito di Capodichino, Autogrill ha registrato un calo di fatturato del 2,6% nel 2012, del 7,1% nel 2013 e del 35% nel primo trimestre 2014. L’azienda parla anche di perdite di 455mila euro nel 2011, di 715mila euro nel 2012 e 810mila euro nel 2013, con un’incidenza del costo del lavoro sulle vendite pari al 48 per cento. Conclusione: l’azienda, “con decorrenza 30 settembre 2014, cesserà la propria attività riconsegnando i locali a Gesac spa”. E così è stato. E’ andato a vuoto anche l’ultimo tentativo di salvare l’attività, un incontro tra sindacati e azienda che si è tenuto il 29 settembre. L’unica concessione da parte di Autogrill è stata l’individuazione di sei posti di lavoro disponibili per ricollocare i dipendenti in altri punti vendita del gruppo. Si tratta di cinque part time a 20 ore alla settimana e un solo full time. Tre a Bologna e tre al passo del Brennero, rispettivamente a 470 e 710 chilometri di distanza da Napoli.
“Autogrill e Gesac”, fanno sapere fonti aziendali, “allo scopo di salvaguardare i livelli occupazionali hanno cercato di facilitare il subentro di un nuovo operatore pronto ad assumere il personale impiegato. La trattativa non è andata a buon fine in quanto i lavoratori non hanno accettato la soluzione prospettata ed erano informati che l’attività sarebbe cessata il 30 settembre fin dall’avvio della procedura nel mese di luglio”. Autogrill precisa anche che 11 degli 81 licenziati lavoravano a Torre Annunziata.