Ieri mattina, amorevolmente assecondata da un assenziente Nicola La Torre, presidente della Commissione difesa, la generalissima Pinotti al Senato ha spazzato via l’insolita illusione dei pacifisti di aver portato a casa un risultato. L’impietosa generale ha spernacchiato tutti annunciando, senza nessuno sprezzo del pericolo (visto che di pericoli non ce n’erano), che aveva già in mano la penna con la quale avrebbe firmato l’ordine per altri due bei cacciabombardieri. E che, sì, aveva sentito parlare di un ordine del giorno che avrebbe voluto dimezzare i fondi per l’F-35, ma era uno tra i tanti. Tutti gli altri chiedevano che il megaprogramma della Lockheed continuasse. E lei, che fa il ministro anche se vorrebbe essere generale, deve tener conto di tutto quello che il Parlamento le chiede.
D’altronde lo si era capito appena chiusa la votazione, una settimana fa. La Pinotti, per dire, si era ben guardata dal farsi vedere in aula alla Camera. C’aveva spedito un generale, Domenico Rossi, provvisoriamente travestito da sottosegretario. Il quale, passati diciotto secondi dalla chiusura della votazione che in teoria dimezzava i fondi, annunciava all’urbe e all’orbe che “oggi il Parlamento ha dato il via libera o un programma quale quello dell’F-35 indispensabile nell’ambito del processo…” eccetera. La ministra invece, per far capire che lei con la carta delle mozioni avrebbe potuto arrotolarsi le sigarette, stava all’aeroporto di Pratica di Mare a un’esercitazione, guarda caso, dell’Aeronautica militare.
Con questo viatico era piuttosto ovvio che la mozione, quella del presunto dimezzamento dei fondi per l’F-35, non sarebbe sopravvissuta alle complicazioni del parto. Che erano numerose. A cominciare dal fatto che il documento del Pd, primo firmatario Scanu, era anche quello che aveva ricevuto meno voti, solo 275 a favore, contro ad esempio i 326 della mozione Brunetta e i 319 della Cicchitto. Tutte mozioni salomonicamente accolte dal Governo che a questo punto aveva buon gioco a prendere fior da fiore, spiluccando un po’ qui e un po’ là, e riconfezionandosi il documento su misura per i suoi scopi.
Diciamocela tutta, con buona pace di quanti avevano esultato. Il documento di Scanu era fatto male, a prescindere. Taglio della metà dei fondi. Ma quali fondi? Nun sacce. Non si sa perché ognuno tira l’acqua al suo mulino e le spese per il caccia crescono e salgono come le maree, fino a sparire. L’ultimo dato complessivo, infatti, lo si trova nella all’allegao C della nota aggiuntiva dell’ottobre 2012 e parla di 10 miliardi di euro, oltre a 2 miliardi di dollari per la ricerca e sviluppo, quasi 800 milioni per l’inutile stabilimento di Cameri, altri soldi per rifare le basi che ospiteranno gli F-35 (è un altro mezzo milione). Negli ultimi documenti contabili la spesa complessiva sparisce come un torrentello carsico. Nell’ultimo documento programmatico della Difesa sono indicate solo le spese annuali.
In realtà, nei documenti contabili interni della Difesa, al programma Smd 02/2009 (cioè l’F-35) sono allocati 15.876.579.556 euro, ridotti (si fa per dire) a 10.458.480.233 quando il numero passa da 131 a 90 caccia. Ieri, in commissione Difesa al Senato, la generalissima Pinotti fa fare inaspettatamente un balzo da olimpionico al prezzo: parla di 16,6 miliardi. Mistero. D’altronde, se dobbiamo tagliare, meglio tenerci alti così ci restano più soldi. Che poi siano grosso modo delle cifre buttate là in pasto ai leoni, chi se ne importa.
Così adesso sappiamo che sarà questa la cifra che la maga Pinotti farà apparire ai creduli e tremuli astanti: 16,6 miliardi. Se anche la tagliassimo del 50% resterebbero 8,3 miliardi, non lontanissimi dai 10 dell’ultima previsione certificata. Passata la festa, gabbato lo santo.
Ma dubito francamente che arriveremo anche a questi 8,3 miliardi. L’intervento della generalessa al Senato è stato un drammatico fritto misto di arroganza e banalità. Basta ascoltare le sua personale ricostruzione del voto alla Camera. “La Camera ha respinto tre mozioni” ha esordito. Naturalmente sono quelle dei cattivi, M5S e Sel, e quella dei confusi, i leghisti che vogliono comperare il caccia F-22 al posto dell’F-35. Vabbè. Subito dopo la Pinotti però aggiunge che la stessa Camera ha approvato “quattro mozioni che impegnano il governo a proseguire il programma”. Tiè, pacifisti: quattro a tre, siete fuori.
Ha poi spiegato, la maga Pinotti, come tutte queste mozioni vogliano contemperare le esigenze della Difesa con quella di sviluppare la base industriale. Naturalmente quella della Lockheed, visto che in Italia al massimo ci occuperemo dei ribattini. Pertanto conclude, mentre tira fuori il mitico coniglio dal cappello, il programma continua, anzi appena esco di qua vado in ufficio a ordinare un paio di F-35 per farvi capire chi comanda (voleva aggiungere: gli americani, ma si è trattenuta per decenza).
Esaurita l’arroganza, la generalessa si è esibita in un tristissimo tentativo di raccontare ai senatori perché gli F-35 ci servono. Il fatto è che, non sapendolo neppure lei, non è riuscita a spiegare nulla, anzi si è arrotolata più volte nelle sue stesse spiegazioni. “A cosa servono gli F-35?” si è chiesta ricordando i suoi trascorsi di insegnante. Non trovando nessuna spiegazione plausibile, l’ha buttata là: “Poter intervenire nella coalizione contro l’Isis” con Francia, Inghilterra, Danimarca. Per poter inter-operare con gli altri alleati. Naturalmente, poiché nessuno di questi ha l’F-35 anzi ognuno ha un aereo diverso (F-16, Tornado, Rafale), non si capisce secondo la Pinotti come loro possano volare insieme e noi no. Ma non si può pretendere troppo, dopotutto.
Infine, essendosi spinta oltre le sue capacità dialettiche (che non sono neppure granché), in un ultimo disperato tentativo di salvarsi in angolo, ha aggiunto: “Se nel 2026 l’Italia volesse far parte di un’eventuale coalizione dobbiamo avere l’F-35”. Nel 2026? Completando infine così il suo discorso: e poi le forze armate sono un valore aggiunto, quando c’è un’alluvione sono le prime a intervenire. Ma ormai i senatori stavano uscendo.