Cultura

Serge Latouche e il suo invito a decolonizzare l’immaginario

‘Decolonizzare l’immaginario’ è l’ultima opera pubblicata in Italia da Serge Latouche. In realtà quella in uscita in questi giorni per la EMI è una terza edizione del libro pubblicato nel 2002. Questa nuova edizione si inserisce in Cittadini sul Pianeta, una collana particolarmente interessante della casa editrice bolognese. La collana è diretta da Francesco Gesualdi, ex allievo di don Lorenzo Milani a Barbiana nonché autore per Feltrinelli di Sobrietà un altro libro molto amato dagli obiettori della crescita.

Per questa terza edizione il filosofo-economista francese ha scritto una lunga introduzione in cui spiega in che modo nasce il termine decrescita e come lui l’abbia utilizzato solo dopo il febbraio 2002 quando la rivista Silence pubblicò un numero dedicato a questo tema. Quindi per Latouche nel 2002 la sua obiezione alla crescita diventa decrescita. Un termine che non mi persuade nemmeno nella sua declinazione italiana che, Maurizio Pallante, tenta di mitigare in ‘decrescita felice’.

Il timore è che nella società in cui trionfano il pensiero breve e gli slogan la decrescita è erroneamente, nell’immaginario popolare, associata a miseria e come si sa è un lavoro arduo vincere gli assiomi culturali. Non è facile far passare il significato di un termine (anche se non equivale all’idea propugnata da coloro che la veicolano) che è sinonimo di una condizione dalla quale si è lottato tanto per emanciparsi. Forse, anche la Sobrietà auspicata da Gesualdi nella società godereccia ed ebbra di oggi rischia di essere uno slogan non compreso nella sua profondità. Specie dai più giovani. Ma a prescindere dai termini usati l’urgenza è transitare in un nuovo paradigma che sia sostenibile e in grado di far intravedere la speranza in un futuro migliore sebbene, una parte di questo futuro a cui si vuole anelare, era presente già nel passato.

Nel settembre del 2012 in un articolo per Il Manifesto provocatoriamente, dati gli infausti scenari prospettati dai cambiamenti climatici, invitai a percorrere una terza via come quella indicata dalla decrescita per non morire tutti keynesiani. In effetti la società di oggi, che sta pagando i danni ambientali e culturali prodotti dall’overdose produttivista, non può più essere governata dalla visione neoliberale ma neppure da quella keynesiana perché sono entrambe devote al dio della crescita e del suo famelico indicatore numerico che è il Pil. Quel Pil che da quest’anno, pur di vederlo crescere, è stato dopato dai proventi di prostituzione, contrabbando e droga. Urge percorrere un’altra strada in grado di trovare risposte adeguate alle problematiche del XXI secolo: serve una conversione culturale. Un modello economico che non consideri l’impronta ecologica è da ritenersi anacronistico, come è anacronistico un modello culturale che non prospetti come indispensabile ampliare la democrazia della partecipazione.

Come ha sintetizzato l’economista inglese Kenneth Boulding: “Pensare di poter crescere in maniera infinita in un pianeta finito è o da pazzi o da economisti”. Inoltre la tanto acclamata crescita in occidente non crea più occupazione ed esportarla a tutti i Paesi genererà altri conflitti per accaparrarsi le risorse. La realtà è che viviamo la fine di un’epoca storica iniziata con la rivoluzione industriale e che sta terminando con la finanziarizzazione dell’economia. Purtroppo di questo non c’è consapevolezza sia da parte della maggioranza degli economisti che dai loro epigoni politici che continuano a proporre vecchie ricette per scenari inediti.

L’invito che ci rivolge Serge Latouche in questo interessante libro intervista è a ‘decolonizzare l’immaginario’Non è facile in questa specie di Truman Show nel quale a volte si ha la forte sensazione di essere stati inseriti e fatti crescere a nostra insaputa. In altre parole occorre destrutturare la miriade di pensieri di cui siamo stati permeati e che si sono strutturati in azioni e comportamenti. In effetti, la vera vittoria di questo sistema vigente è trasformare i cittadini in ingranaggi della grande macchina totalitaria: un totalitarismo come l’attuale non si è mai avuto nella storia dell’uomo, perché questo sistema è in grado di infettare ogni aspetto dell’umano: dalla coscienza alle azioni. Allora occorre decolonizzarlo questo immaginario imposto da una élite che ha trasformato la nostra umanità in merce, per poi costruirne un altro tutti insieme avendo come fine il bene comune.