Scienza

Aids, bimbo tornato positivo. Aiuti: ‘Doccia fredda, ma non impossibile eradicare virus’

Lo scienziato commenta così la notizia dello studio che dimostra che l’Hiv lascia tracce indelebili sul sistema immunitario come nel caso del bimbo tornato positivo

“Quando si tratta di Aids la prudenza non è mai troppa. Il virus dell’Hiv è, infatti, in grado di nascondersi in alcuni tessuti cosiddetti santuari, ad esempio intestino, fegato o sistema nervoso, e aspettare intelligentemente il momento in cui non c’è più l’antivirale che lo uccide, prima di tornare in azione. Anche dopo due o tre anni”. Fernando Aiuti, professore Emerito di Immunologia clinica e malattie infettive all’Università La Sapienza di Roma, commenta così al fattoquotidiano.it la notizia che un team di scienziati milanesi del reparto di pediatria dell’Ospedale Luigi Sacco, dell’Università Statale di Milano e della Fondazione Don Gnocchi ha dimostrato per la prima volta al mondo, in uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista “The Lancet, che il virus dell’Hiv è in grado di lasciare sul sistema immunitario tracce indelebili, anche quando sembra completamente sparito dall’organismo.

Lo studio milanese descrive il caso di un bambino di 5 anni, positivo al virus dell’Aids sin dalla nascita, in cura presso l’ospedale Sacco che, dopo essersi liberato del virus per tre anni grazie a un intenso trattamento precoce con farmaci antiretrovirali, è diventato nuovamente sieropositivo. Si tratta del secondo caso al mondo di “guarigione apparente”, dopo quello della bimba di 4 anni nata in Mississippi da una madre sieropositiva, considerata guarita in un primo momento, e tornata ad avere nel sangue tracce del virus Hiv responsabile dell’Aids, dopo la sospensione delle terapie.

Il bimbo milanese era stato sottoposto a terapia antivirale a meno di 12 ore dalla nascita, eppure questa tempestività non è stata sufficiente. “Si è visto che dopo un contatto a rischio, come un rapporto sessuale o l’uso di siringhe infette – spiega Aiuti -, se si fa una terapia antivirale entro le 4-6 ore, c’è la possibilità che l’infezione non avvenga. Nel caso del bimbo milanese, probabilmente, quelle poche cellule infettate tra le 6 e le 12 ore dalla nascita sono state sufficienti a far riemergere l’infezione a distanza di anni. Esiste, infatti – aggiunge l’immunologo -, una quota di linfociti infettati che non si riesce ancora ad eliminare del tutto, pari a circa 200-250mila cellule. Un numero che può sembrare alto, ma che in realtà corrisponde allo 0,1% dei linfociti umani. Al di sotto di questa soglia – sottolinea Aiuti – non siamo ancora riusciti ad andare, e questo perché i linfociti infettati possono vivere a lungo, anche fino a 8-10 anni. Se si esclude il caso del cosiddetto paziente di Berlino (Timothy Borown, ritenuto ad oggi l’unico adulto guarito dall’Hiv dopo un trapianto di staminali ematopoietiche, ndr), non è ancora possibile azzerare il numero di cellule infettate da Hiv”.

Bisogna, quindi, abituarsi a considerare l’infezione inguaribile, almeno per il momento? “Anche se una notizia come quella descritta su The Lancet è una doccia fredda, la lotta ingaggiata dal sistema immunitario contro il virus non è chiusa – commenta Aiuti -. Sono ottimista sulle capacità del nostro sistema immunitario di vincere questa sfida. Non è impossibile eradicare l’infezione – conclude l’esperto -, concentrando, per esempio, le ricerche su quegli individui che sono geneticamente immuni al virus”.