Nemmeno il tempo di insediarsi ufficialmente e prendere possesso delle proprie poltrone, che il neoeletto consiglio della Città metropolitana di Bologna si trova già fermo al palo. Il nuovo ente pubblico, figlio della riforma che cancella le Province dall’elenco degli organi istituzionali, infatti, per entrare in funzione dovrebbe ricevere, entro la fine dell’anno, le proprie deleghe dalla Regione Emilia Romagna, che però attualmente è senza governatore. Quindi, finché il successore dell’ex presidente Vasco Errani, dimessosi a luglio in seguito a una condanna penale per la vicenda Terremerse, non sarà eletto (si andrà al voto il 23 novembre prossimo) è difficile stabilire quali incarichi verranno affidati alla Città metropolitana, sostituto della Provincia, e chi dovrà occuparsene. E di conseguenza, il nuovo ente pubblico non potrà iniziare a lavorare.
Di certo, per ora, si sa solo che la cerimonia di insediamento degli eletti, 18 in tutto, di cui 12 del Pd, 3 del centrodestra e 1, rispettivamente, di Rete Civica, Movimento 5 Stelle e Sinistra per i beni comuni, si terrà il 17 ottobre, ma se la sede del nuovo ente sarà Palazzo Malvezzi, quartier generale della vecchia Provincia di Bologna, oppure no, nemmeno questo è chiaro. Peraltro, il tema relativo alle deleghe non è l’unico problema che la Città metropolitana dovrà affrontare sempre entro la fine dell’anno. Nominato il 28 settembre scorso a elezione di secondo livello, – a votare i 18 membri del consiglio, cioè, sono stati sindaci e amministrazioni dei Comuni che della città metropolitana fanno parte, e non i cittadini -, la priorità del nuovo organismo istituzionale ora è quella di approvare lo Statuto. La fase costituente, insomma. Ed è su questo passaggio che si apriranno le prime spaccature all’interno delle varie correnti politiche che siederanno tra i banchi del consiglio metropolitano. Secondo la normativa Delrio, infatti, il sindaco di Bologna, cioè Virginio Merola del Pd, in quanto primo cittadino del capoluogo regionale diverrà automaticamente anche sindaco della Città metropolitana, bypassando nuovamente il voto dei cittadini. Aspetto che però non piace a tutti i neoeletti, nemmeno in casa Pd, e c’è chi vorrebbe modificare la legge proprio attraverso lo Statuto. “Io credo che il sindaco della città metropolitana debba essere scelto dagli elettori – spiega Stefano Sermenghi, primo cittadino democratico di Castenaso e consigliere della Città metropolitana – il passaggio alle urne legittima chi viene eletto, lo investe di un incarico che prescinde una parte politica. Non dobbiamo avere paura del voto dei cittadini”. Dello stesso parere anche Sinistra per i beni comuni (Sel, Prc e indipendenti), che promette un voto secondo coscienza, al di là delle logiche di coalizione (col Pd). “Se non diamo la possibilità ai cittadini di eleggere il consiglio della Città metropolitana la riforma Delrio non rimane che un modo per camuffare le vecchie Province sotto un altro nome – sottolinea Lorenzo Cipriani, consigliere comunale di Sel e membro del neonato ente pubblico – sul tema non tutti gli eletti in quota Pd sono d’accordo quindi non sarà una decisione facile, tuttavia spero non si accantoni la questione a colpi di maggioranza”.
“L’elezione di secondo livello è un po’ come dire ‘cambiamo tutto per non cambiare nulla’ – critica anche il forzista Michele Facci, consigliere comunale di Bologna e, dal 28 settembre, anche consigliere della Città metropolitana – così com’è ora la riforma Delrio cancella la democrazia: da un lato, infatti, gli eletti provenienti dai Comuni più grossi valgono 10, anche 20 volte di più di chi viene da una città più piccola, col risultato che risolvere le istanze del territorio rimane una promessa scritta sulla carta. In più nel 2016 Bologna eleggerà un nuovo sindaco, quindi che succederà? Cambieremo consiglio metropolitano dopo appena un anno e mezzo?” “Sul tema non bisogna essere demagogici – è il monito del sindaco di Calderara di Reno Irene Priolo, a sua volta tra i 18 consiglieri metropolitani –l’elezione diretta del sindaco darebbe forza alla Città metropolitana ma per arrivarci la legge presuppone la scomposizione del capoluogo in diverse municipalità, che non è realizzabile immediatamente, né entro il 2016”. Al netto delle discussioni che probabilmente, a consiglio insediato, si sposteranno in aula, comunque, resta la burocrazia con cui fare i conti. Oltre alle deleghe da assegnare, la Provincia di Bologna aveva in carico 211 attività, 110 attribuite dalla Regione e 101 dallo Stato, “non solo non sappiamo quali funzioni la Città metropolitana dovrà svolgere – spiega Marco Monesi, consigliere metropolitano e presidente del consiglio comunale di Castel Maggiore – ma il governo deve ancora trasferire le risorse al nuovo ente, economiche e umane”. Il tempo, però, non è molto: Dal primo gennaio, infatti, il testimone passerà ufficialmente dalla Provincia alla Città metropolitana. “Purtroppo – allarga le braccia Monesi – il governo ha previsto che le Province fossero superate prima che si formassero i nuovi enti, il che ha creato alcuni disagi, come ad esempio nel settore Istruzione”.