Se la fotografia ha un carattere – carattere come lo intendiamo negli umani – forse assomiglia a quello di una bambina. Su questo filo si snodano le considerazioni qui sotto, che originariamente ho scritto come introduzione ad una mostra (visibile dal 6 ottobre) di otto studenti dell’Istituto Italiano di Fotografia, impegnati a raccontare visivamente la “restituzione” dei cortili condominiali di Milano ai bambini per i loro giochi, cosa che da anni non avveniva per via di rigidi regolamenti.
Dunque la fotografia è bambina perché…
La fotografia è bambina, lo è per molte ragioni, ma non sempre ne è consapevole essendo, per l’appunto, bambina. La fotografia è bambina perché il suo carburante è la curiosità. È bambina, poi, perché la fotografia è anche un grande gioco, e quando i bambini giocano prendono il gioco molto seriamente. E che meraviglioso giocattolo è la macchina fotografica!
Anche per età è bambina la fotografia: nata ieri tra le forme espressive, ha meno di duecento anni. Come una bambina, a tratti è impertinente e dà del tu a tutti, a tratti è timida e si nasconde. La fotografia, che da grande sarà grande, da bambina è cocciuta e solo così non mollerà tra mille difficoltà.
La fotografia è bambina per mostrare agli adulti cose che gli adulti non vedono più. Dei bambini è la capacità di stupirsi, di meravigliarsi, di dire cose “scorrette”, di vedere l’invisibile, di sognare a occhi aperti e intuire anche a occhi chiusi. Come la fotografia.
Mettete una fotografia davanti agli occhi di un bambino e fatevi dire cosa vede: scoprirete mondi.
I nostri autori Alvise, Camilla, Federica, Giulia, Jessica, Micol, Stefania e Virginia hanno avuto una bella fortuna, almeno per un po’: la possibilità di tornare bambini. Aggiusto il tiro: non la possibilità, ma la necessità. Per potersi permettere il lusso di fotografare i bambini facendolo nel modo giusto, occorre sintonizzarsi a tal punto sulle loro vibrazioni vitali da… diventare come loro, diventare loro.
Empatia che arriva a una forma di transfert, occhi di bambini al mirino.
La verifica è relativamente semplice: nelle fotografie che gli studenti dell’Istituto Italiano di Fotografia hanno saputo regalarci in questa immersione nei cortili milanesi “riconquistati”, non si percepisce alcun diaframma a separare fotografi e fotografati. In definitiva i fotografi, sotto il sole di quei cortili, in quella sete di acqua fresca e di vita, hanno ritrovato in qualche misura se stessi. Il fotografo, caratterialmente, è sempre qualcuno che cerca se stesso, e la fotografia è stata paragonata a una strana forma di seduta psicoanalitica.
C’è chi si cerca fotograficamente guardandosi dentro, chi guardando fuori verso gli altri; non a caso John Szarkowski (mitico direttore del dipartimento di fotografia del MoMA) parlò, in proposito, di fotografi-specchio e fotografi-finestra.
Il lavoro sui cortili qui presentato, in questo senso, fa forse qualcosa di raro: riunisce specchi e finestre.
La fotografia è bambina, ma per quanto tale resterà?