Nella settimana in cui Renzi pretende di portare a casa a qualsiasi costo lo scalpo dell’art.18 ed è ufficiale la fiducia su una legge delega, “una forzatura” non solo per i soliti “gufi” ma anche per Il Sole 24 Ore, è interessante dare un’occhiata ai consueti sondaggi del lunedì che registrano una flessione al 35% nella fiducia al governo ed un lusinghiero e stazionario 48% riservato al premier.
E sul tema caldissimo del lavoro e della sostanziale archiviazione dell’art.18 che è diventata, abbastanza incredibilmente, l’essenza e l’emblema della forza innovativa del jobs act, secondo Ipr Marketing il 48% degli intervistati auspica che Renzi vada avanti “senza compromessi”.
Difficile dire quanto l’apparente rilevante consenso al decisionismo di Renzi sia causa o effetto dell’avanti tutta senza autentica attenzione per le parti sociali, in primis il sindacato convocato in extremis alle 8 di mattina, né per i dissidenti interni che non sembrano preoccupare più di tanto il premier.
Nella conferenza stampa dopo l’incontro con i sindacati Renzi ha espresso soddisfazione per “i punti di intesa sorprendenti “, ovviamente con Cisl e Uil, e ha ribadito che pur “ascoltando tutti” il Governo non si farà bloccare dai veti perché “stiamo correndo al vertice di Milano con un programma sul lavoro mai visto”.
Del totale disaccordo della Cgil che ha riconfermato l’iniziativa del 25 ottobre contro il jobs act e delle dichiarazioni di Civati che ha definito “deprecabile” il ricorso alla fiducia e ha annunciato di non votarla Matteo Renzi mostra di curarsi ben poco.
Anche se nella mattinata in Senato è mancato per ben 4 volte il numero legale, il presidente-segretario del Pd ritiene “naturale che tutti i senatori e le senatrici votino la fiducia” e probabilmente, al di là dell’indietro tutta ufficiale di Berlusconi sul sostegno al jobs act, allertato dal quel 46% del suo elettorato che non vorrebbe una finta opposizione, confida anche in un “aiutino” da Fi.
La fiducia al Senato oltre a bypassare una serie di ostacoli quasi insormontabili può consentire di portare a casa la riforma che il governo ritiene “un punto qualificante del suo operato” in un tempo lampo di non oltre 24 ore imposto dall’urgenza” di poter far ombra mercoledì alla Merkel con in tasca il voto che spiana l’articolo 18.
Come se esibire la riforma “epocale”, icona del superamento dell’immobilismo alla Conferenza europea sul lavoro, sovraccaricata di una valenza spropositata in chiave esclusivamente mediatico-propagandistica, portasse da dopodomani in Italia trasparenza, investimenti,capacità imprenditoriale e formazione professionale.