Cultura

Premio Tenco 2014: l’arte e la retorica del ‘Bella ciao’ col pugno alzato

Il Premio Tenco 2014 si è svolto dal 2 al 4 ottobre e ha avuto come tema portante la resistenza.

La cosa merita delle riflessioni: dedicare un’edizione del Tenco al concetto di resistenza presuppone anzitutto un gran coraggio, perché una delle principali critiche mosse alla rassegna negli anni è stata quella di porsi con una certa chiusura partigiana e “sinistrorsa”, che arriverebbe a essere addirittura più importante dell’aspetto artistico. Lo spettro della becera retorica ha quindi spesso aleggiato intorno alla manifestazione.

Di fronte a ciò, che si fa? Si accentra il tutto su uno dei concetti potenzialmente più retorici che esistano. Qui il Club Tenco – che, per inciso, organizza il tutto – ha però specificato che la resistenza non ha colore politico, è “semplicemente” una predisposizione dell’animo: resistenza alla stupidità, ai soprusi d’ogni genere, alla chiusura mentale.

A mio modo di vedere, l’appropriarsi della sinistra del concetto di resistenza per via della Resistenza storica ha fatto dei danni feroci in Italia, prima di tutto alla sinistra stessa. Perché l’ha resa spesso retrograda, passatista, conservatrice. L’ha resa custode di un tempo mitico, di un museo esclusivo che non avesse alcuna possibilità di agire nell’oggi. L’ha resa inerme e prevedibile. Cantare con slogan logori ha fatto il resto e ha costretto un pensiero dinamico e progressista a compiere ogni volta un carpiato all’indietro, riarroccandosi sulle montagne. L’icona retorica, e quindi etimologicamente educata, immobile di Bella ciao ha per esempio massacrato la bellezza disarmante e irriverente, dinamica della stessa canzone. Il livello artistico – elevatissimo – del brano è stato completamente inibito, sostituito dal ruolo di icona e di inno.

Il Premio Tenco, per questo, aveva nell’edizione 2014 una grande opportunità: restituire al ruolo dell’arte l’umanità del divertimento. Restituire a canzoni come “Bella ciao” i colori di una scossa ineducata tramite l’arte e la canzone d’autore, che non nasce per celebrare, non nasce per iconizzare, non nasce per immobilizzare, ma che invece usa il linguaggio e il movimento artistico per rivoluzionare il punto di vista, scrivere la realtà con un diverso codice rispetto alla realtà stessa; perciò scuotendo, perciò meravigliando. Con “poetico realismo”, per esempio.

Questo a volte è successo sul palco del teatro del Casinò al Tenco 2014; altre no.

È successo con Diodato; è capitato con Cristicchi e “Magazzino 18”, con la Scraps Orchestra o con Capossela e la sua difesa del rebetiko, che esalta il genere e quindi il linguaggio particolare, non il ruolo di icona dei brani. Non è successo coi Modena City Ramblers e col pugno alzato alla chiusura della loro esibizione, cantando proprio Bella ciao. Peccato.

In definitiva, però, la strada del Club Tenco è quella giusta. Si tratta di celebrare le resistenze, l’anima di cui sono composte, non la polvere del museo. L’atto di memoria è scintillante e indispensabile, ma la glorificazione forzata e immobile lo rende retorico e vulnerabile. Fa dei danni incalcolabili e incompresi.

C’è stato un momento, su tutti, che vale una vita: l’incontro con Esther Béjarano, musicista ebrea tedesca novantenne, sopravvissuta ad Auschwitz grazie alla musica, perché riuscì a entrare nell’orchestra femminile del lager. Il momento è preciso e descrive il superamento, che esorcizza del tutto il ripiegamento su se stessi, il passatismo, la retorica della presunta artisticità nel fatto di cantare Bella ciao col pugno alzato: mentre lei raccontava con un sorriso angelico la sua storia, Enrico de Angelis – il responsabile artistico del Club Tenco – le ha chiesto, riferendosi ad Adorno, se dopo Auschwitz sia ancora possibile fare arte. Esther ha risposto con una leggerezza disarmante: “Certo, sono sopravvissuta per vivere, per farlo con gioia”. Punto.