Non c’è immagine migliore del divario, ormai saldamente consolidato, tra annunci di governo e realtà delle cose dello stridente contrasto tra quanto annunciato da Renzi in materia di asili nido – “mille asili in mille giorni” – e la fotografia di piazza del Campidoglio a Roma sabato scorso, disseminata di passeggini vuoti per protesta contro la decisione di Ignazio Marino di togliere l’esenzione al pagamento della retta dal terzo figlio in poi.
Una misura che racconta di quanto sempre più grande sia lo iato tra le persone, uomini e donne reali con le loro concrete necessità, e argomentazioni come quelle addotte dal sindaco di Roma e dai suoi asettici tecnici (“Manifestazione strumentale, i ricchi possono pagare la retta anche per il terzo figlio”). Tecnici che hanno stabilito che la soglia di esenzione non deve superare i 10.000 l’anno di Isee, (indicatore della Situazione Economica Equivalente, in pratica neanche ottocento euro al mese per una famiglia di cinque persone), lo stesso tetto che consente di accedere ai buoni libro, pomposamente pubblicizzati per le vie della Capitale, escludendo così famiglie con un reddito di poco superiore.
Eppure si tratta di misure, a Roma come in altre città, prese in nome della “tutela delle fasce deboli” e dell’equità, e brandendo l’ormai famoso reddito Isee come strumento di giustizia sociale proprio nel momento in cui l’Isee sta diventando uno strumento di esclusione e non di inclusione: a causa dei tetti bassissimi per accedere a qualsiasi agevolazione – messi dalle amministrazioni proprio in virtù delle effettive scarse risorse e non dei bisogni: ma allora bisognerebbe avere il coraggio di dirlo invece che parlare di giustizia – e che risulteranno ulteriormente penalizzanti quanto entrerà in vigore la “rivoluzione” del nuovo Isee, nel 2015 (verrà inclusa in maniera ancora più consistente sia la casa dove si abita, come se con la casa si potesse mangiare, sia tutti i sussidi di invalidità o di accompagnamento pure non tassabili).
A rendere ancor più incomprensibile e grottesca la retorica dell’ottimismo su temi sensibili come i bisogni dei bambini e delle famiglie sono i dati statistici e i rapporti che ormai costellano le nostre giornate: ultimi arrivati quello presentato dal Censis il 1 ottobre scorso, secondo cui sono oltre 62. 000 i bambini non nati a causa della crisi economica (cui vanno aggiunti quelli dovuti al crollo delle adozioni internazionali, meno 30 % quest’anno secondo l’Aibi), quello del Codacons sui debiti delle famiglie, (più 16 % in più negli ultimi due anni), quello dell’Istat sul raddoppio della povertà minorile in soli due anni, infine quello di Federconsumatori secondo cui le spese di vita per il primo anno di vita di un bambino variano nel 2014 dai sei a quattordicimila euro, mentre il costo stimato di un figlio è di 170. 000 euro fino a 18 anni. Così, mentre in Francia – dove i sussidi sono dati a quelle famiglie che da noi lo stato e i comuni considerano ricche – si discute sulle riduzioni di assegni familiari universali che possono arrivare anche a mille euro al mese, da noi come si risponde al sempre più pressante allarme demografico? Con un “piano nazionale sulla fertilità”, annunciato dal ministro della salute Lorenzin, per aiutare gli italiani a prendersi cura della loro fertilità, che nel vuoto delle misure economiche e sociali rischia persino di colpevolizzare uomini e donne fertili ma poveri; oppure con dibattiti allucinanti e senza fine sull’estensione degli 80 euro alle famiglie numerose.
Il tutto sullo sfondo di minacciosi tagli alle detrazioni, quelle familiari comprese, che ormai sono l’unico strumento di politica familiare rimasto dopo la decurtazione selvaggia di questi ultimi anni del fondamentale Fondo per le politiche sociali. Così, nel paese dove, vale la pena ricordarlo, la presidenza della Commissione parlamentare per l’Infanzia è stata assegnata a Michaela Brambilla nel disinteresse generale, le famiglie, delle cui angosce si occupa ormai soltanto il papa, ormai si organizzano con gruppi di autoaiuto. Mentre il pensiero sempre più spesso va quel Romano Prodi che stanziò 800 milioni per un piano straordinario per gli asili nido che portò rapidamente le coperture dal 9 al 18 %. In silenzio e senza patetiche slides.
il Fatto Quotidiano, 7 Ottobre 2014