Nuovo rinvio in Commissione Finanze della Camera sulle modifiche al testo sulla voluntary disclosure apportate dall'esecutivo e sui 24 subemendamenti. Tra cui quello del Pd Giovanni Sanga, che inserisce nuovamente la non punibilità per chi aderisce al procedimento per il rientro dei capitali nascosti nei paradisi fiscali. E' l'ultima tappa di un lungo iter che rischia di sfociare in un salvacondotto per colletti bianchi ed evasori
E anche questa volta colletti bianchi ed evasori fiscali possono tirare un sospiro di sollievo. Martedì il governo ha finalmente depositato in commissione Finanze della Camera il suo attesissimo emendamento sull’autoriciclaggio, ovvero la norma che punisce chi ricicla il denaro frutto dei suoi delitti. Lo ha inserito nella legge sulla “voluntary disclosure”, pensata per favorire il rientro dei capitali nascosti all’estero. Ma quello che poteva essere uno strumento di contrasto micidiale contro l’evasione è stato annacquato proprio lì dove tocca i reati finanziari. E rischia di trasformarsi in un pannicello caldo, perché prevede la non punibilità di chi usa il denaro riciclato per “utilizzo o godimento personale”.
All’inizio fu la soglia. Ovvero c’è stato un momento in cui il compromesso tra le parti aveva portato all’esclusione dalla sanzione per i reati con pena massima fino a 5 anni, leggasi i reati finanziari. Scongiurato quell’eccessivo ammorbidimento, su cui si sarebbero impuntati sia il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan sia il titolare della Giustizia Andrea Orlando, il nuovo testo presentato dall’esecutivo prevede due soluzioni differenziate: la reclusione da 2 a 8 anni e una multa da 5mila e 25mila euro per chi ricicla il denaro frutto dei suoi delitti, quando quei delitti sono puniti con una pena superiore ai 5 anni, e da 1 a 4 anni per tutti i reati che prevedono una pena inferiore ai 5 anni. Ma la possibilità di reclusione da 1 a 4 anni è stata di fatto già eliminata con lo strumento della “messa in prova” varata lo scorso maggio, che prevede per tutti gli imputati per reati puniti con pene fino a 4 anni di carcere la possibilità di sospensione del processo e l’affidamento ai servizi sociali. Quindi sono previste pene più soft e alleggerimenti anche per reati come l’appropriazione indebita e la dichiarazione fiscale infedele, nonostante l‘evasione fiscale sia un’emergenza nazionale e i grandi evasori siano i primi, insieme alla criminalità organizzata, a disporre di montagne di denaro “nero” da ripulire e reinvestire. Si stimano 170 miliardi di euro all’anno, di cui nel solo 2013 le Fiamme gialle ne hanno scoperti circa sessanta. Mille euro a testa, in un anno, per ogni italiano.
La nuova norma stabilisce inoltre che non è punibile chi i denari sporchi li destina “alla utilizzazione o al godimento personale”. Una formula scivolosissima, che di fatto rischia di annullare del tutto gli effetti della legge. Come stabilire, ad esempio, se l’acquisto di un’opera d’arte è riciclaggio o godimento estetico personale? Il compromesso nasce dal confronto del governo con Ncd, Forza Italia e con frange interne al Pd che hanno fatto proprie le posizioni di alcuni magistrati, come il Procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi, che temevano la trasformazione del reato di autoriciclaggio in una seconda punizione per reati molto diffusi tra imprenditori e colletti bianchi. Il compromesso che ne è nato, però, fa carta straccia del lavoro della commissione presieduta da Francesco Greco, già magistrato del pool di Mani Pulite, e non collima con la posizione che lo stesso governo aveva mantenuto in Senato, dove prima dell’estate aveva presentato un altro emendamento sull’autoriciclaggio al testo anticorruzione in discussione in Commissione Giustizia.
Facciamo un passo indietro. La scorsa primavera il Senato stava lavorando a un testo sull’autoriciclaggio che era stato presentato come emendamento al ddl Grasso contro la corruzione (divenuto poi ddl D’Ascola). In quel frangente il governo è entrato a gamba tesa sui lavori presentando prima un proprio emendamento, poi chiedendo di aspettare il varo della riforma della giustizia di Orlando. Di fatto avviando quel ddl su un binario morto. Mentre in Senato si consumavano rinvii su rinvii, alla Camera aveva intanto iniziato a farsi strada un nuovo testo sull’autoriciclaggio, presentato in Commissione Finanze dal Pd Marco Causi, dopo una prima proposta firmata da Pippo Civati il 1 aprile 2014. Il 2 luglio il Pd Causi presentava in Commissione Finanze un testo che accoglieva la proposta della commissione di studio presieduta dal procuratore Greco e che, secondo lo stesso Causi, si distingueva “in termini più garantisti, dalla proposta presentata dal governo al Senato”. La sua integrazione sull’autoriciclaggio alla norma sulla voluntary disclosure veniva presentata come “un atto politicamente molto rilevante”. Un modo per dare un segnale, accelerare, su un tema che “urgente” fino a questo momento lo è stato solo a parole. “Governo e commissioni Giustizia dei due rami del Parlamento potranno comunque contribuire a migliorare ulteriormente tale intervento normativo”, aveva detto Causi in Commissione.
Da quel momento in poi sono cominciate le discussioni tra e dentro i partiti. Con il risultato che la norma è stata progressivamente depotenziata. Le prove di questo percorso stanno nel primo testo presentato dal governo lo scorso maggio in Senato, quando l’esecutivo e il ministro Orlando pensavano che l’autoriciclaggio dovesse essere punito per tutti alla stessa maniera: con il carcere da 3 a 8 anni e una multa da 10mila e 100mila euro per chiunque riciclando i soldi dei propri delitti “procurasse a sé o ad altri un ulteriore vantaggio in attività imprenditoriali o finanziarie”. La pena sarebbe stata aumentata quando il fatto era commesso “nell’esercizio di un’attività bancaria, finanziaria o di altra attività professionale” e diminuita quando i soldi “provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni”. Senza soglie né differenziazioni tra reati più gravi, di criminalità organizzata, e reati finanziari. E con pene e multe ben più pesanti.
Martedì il governo ha invece partorito un testo che salva ancora una volta colletti bianchi ed evasori. Sul quale, avvisa il Pd Causi, “siamo comunque solo all’inizio”. Oggi pomeriggio la Commissione Finanze della Camera avrebbe dovuto votare l’emendamento e i 24 subemendamenti presentati in mattinata, ma alla fine sono stati votati solo sei emendamenti e l’ok finale è stato di nuovo rinviato aq domani alle 13,30.
Tra gli emendamenti c’è quello del Pd Giovanni Sanga che inserisce nuovamente la non punibilità per autoriciclaggio per chi aderisce alla voluntary disclosure, ovvero per chi avvia una collaborazione con la giustizia italiana, già prevista nel testo licenziato dalla Commissione. Il “bastone e la carota” con i quali si cerca di recuperare i miliardi depositati dagli italiani all’estero evitando che vengano spostati in altri paradisi fiscali prima della fine dell’anno. “Dopo il passaggio alla Camera il testo passerà al Senato, dove speriamo che possa essere migliorato”, dice a ilfattoquotidiano.it il Pd Causi. “Penso che in questo momento sia bene andare avanti con questa soglia e con una differenziazione nelle pene e prendersi un mese di tempo per vedere quali altri aggiustamenti possono essere fatti”. Insomma, chi vorrebbe una legge meno ambigua guarda al Senato e al possibile attivismo del presidente Grasso. Lo stesso che solo qualche settimana fa, al festival del Diritto di Piacenza, aveva parlato di “interessi” che sono intervenuti a bloccare l’iter già avviato in Parlamento della sua legge sulla corruzione.
Aggiornato dalla redazione web alle 18,30