Cuore dell'indagine gli appalti da 200 milioni - scrive il Corriere della Sera - per opere da realizzare in Cina che in realtà sono state sbagliate o mai costruite. Quei soldi erano stati erogati dal ministero dell’Ambiente, il 2001 e il 2009, quando Clini era direttore generale, attraverso due uffici fantasma aperti a Pechino. I finanzieri hanno ricostruito in una informativa il flusso di denaro
“Una percentuale del 10% sulle tangenti”. L’inchiesta di Roma in cui l’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini è indagato per corruzione si arricchisce di nuovi particolari. Cuore dell’indagine gli appalti da 200 milioni – scrive il Corriere della Sera – per opere da realizzare in Cina che in realtà sono state sbagliate o mai costruite. Quei soldi erano stati erogati dal ministero dell’Ambiente, il 2001 e il 2009, quando Clini era direttore generale, attraverso due uffici fantasma aperti a Pechino.
Secondo le Fiamme Gialle sono sette le società che hanno ottenuto lavori e due gli uffici in cui non sono stati individuati dipendenti. L’unico funzionario al lavoro era un contabile. Per quanto riguarda le opere almeno una, la “Meng Joss House”, costata 4 milioni di euro, sarebbe stata costruita male, come del resto un edificio all’interno dell’università di Pechino, per cui erano stati spesi 20 milioni senza che questo fosse a risparmio energetico come richiesto dall’ateneo.
L’ipotesi di chi indaga è che quei finanziamenti, che potevano essere investiti in Italia, siano stati destinati in Cina affinché una percentuale pari al 10% potesse finire sui conti all’estero riconducibili all’ex ministro. “La scelta dei soggetti italiani a cui affidare appalti e commesse – annotano gli investigatori delle Fiamme Gialle nell’informativa consegnata ai pm romani – sarebbe stata gestita direttamente dal ministero dell’Ambiente italiano oppure suggerita”alla parte cinese almeno per la successiva fase di individuazione dei soggetti a cui affidare i sub-appalti. In assenza dei meccanismi di gara sembrerebbe inoltre che le indicazioni per le scelte, fino a un certo importo e per talune tipologie, sarebbero in realtà state affidate a Ice Pechino e condizionate dalla disponibilità del soggetto ad accettare di versare un contributo del 10 per cento del valore dell’appalto su un conto presumibilmente intestato a una non meglio identificata società di consulenza con sede a Hong Kong“.
L’indagine dei pm romani si intreccia solo parzialmente con quella avviata a Ferrara, culminata con l’arresto di Clini, poi tornato libero, e non riguarda soltanto i finanziamenti finiti a Pechino, ma il Montenegro: in quel caso i fondi stanziati in favore di imprenditori erano pari a 14 milioni di euro.