Quando Luigi de Magistris e Gioacchino Genchi acquisirono i tabulati di alcuni numeri telefonici nell’ambito dell’inchiesta Why Not – contenuti nell’agenda di Antonio Saladino (imprenditore indagato) – erano consapevoli che quei numeri era riferibili a parlamentari della Repubblica. E poco importa che, come nel caso dell’ex ministro Beppe Pisanu, quelle utenze “non erano utilizzate dal senatore”, perché il solo fatto che fossero riferibili a un “membro del Parlamento” avrebbe dovuto imporre uno stop all’acquisizione. I giudici del Tribunale di Roma parlano di una “violazione consapevole” dal parte dell’allora pm di Catanzaro e del consulente, senza rispettare “le garanzie dei parlamentari”. E con questa questa consapevolezza motivano la condanna a un anno e tre mesi per i due imputati. Verdetto che ha comportato per l’ex pm, per effetto della legge Severino, la sospensione dalle funzioni di sindaco di Napoli per 18 mesi.
“Gli imputati selezionavano le utenze di interesse”. “L’esame dei risultati acquisiti all’esito del dibattimento depone per la penale responsabilità degli imputati oltre ogni ragionevole dubbio” scrivono i giudici a pagina 3 delle motivazioni i magistrati. Quando furono acquisiti i tabulati di Romano Prodi, il professore era stato già presidente del Consiglio ed era deputato. “Dopodiché, anche alla stregua dei dati di traffico illegittimamente acquisiti e dell’elaborazione che ne conseguiva, il pm iscriveva l’allora presidente del Consiglio nel registro degli indagati”. Anche nel caso di Mastella le utenze erano abbinate a “indicazioni inequivocabili e riferibili al ministro”, carica che quindi “non poteva essere ignorata né da Genchi, né da entrambi gli imputati prima dell’acquisizione dei tabulati”. Nel caso Rutelli Genchi nella relazione indicava la dicitura “La Margherita Democrazia è Libertà”. Quindi per tutti questi casi e anche gli altri “proprio in ragione della supposta riferibilità, ben al di là delle ipotesi dissimulatorie di attribuibilità dei contatti telefonici … gli imputati selezionavano talune utenze di interesse anziché altre”.
Oltre Prodi, Rutelli, Mastella e Pisanu, che non si è costituito parte civile, furono nell’inchiesta Why Not acquisiti i tabulati dei parlamentari Sandro Gozi, Antonio Gentile, Domenico Minniti e Giancarlo Pittelli. Anche in questi casi a ogni numero era riferibile un parlamentare. I giudici parlano di “precisa selezione” e di un modus operandi, una “scelta delle utenze giammai casuale o automatica, sì da sconfessare argomentazioni difensive volte a proporre gli stessi esempi quale prova della buona fede“. Secondo i giudici l’acquisizione dei tabulati poteva proseguire soltanto richiedendo – come prevede la legge Boato – la richiesta di autorizzazione della Camera.
“Non chiesero autorizzazione alla Camera pur di acquisire i tabulati”. “La prova della collusione tra il pm de Magistris ed il consulente tecnico Genchi – argomentano i giudici – viene desunta non da sospetti o illazioni, ma da un contesto univoco“. Secondo il collegio presieduto da Rosanna Ianniello, che ha redatto 90 pagine di motivazioni, l’ex toga e il poliziotto hanno “perseguito pervicacemente l’obiettivo immediato e finale di realizzare la conoscibilità dei dati di traffico dei parlamentari non chiedendo l’autorizzazione alla Camera di appartenenza, pur di acquisire con urgenza i tabulati”. Secondo le toghe romane “la logica era quella di procedere senza rispettare le garanzie per cariche parlamentari, affatto sconosciute, e di giustificare ‘ex post’ le violazioni che fossero emerse” per poi sanarle “con una ratifica successiva rinviabile ad oltranza”.
“Le utenze riferibili a parlamentari non possono essere sottoposte a investigazione”. I giudici concludono le motivazioni stabilendo che “tutte le utenze riferibili a parlamentari non possono essere sottoposte ad attività d’investigazione neppure al solo fine di consacrare, attraverso l’esame dei tabulati relativi al traffico telefonico, quali di dette utenze siano effettivamente utilizzate dal parlamentare e quali altre non lo siano perché destinate a terzi…”. Inoltre per i magistrati romani l’abuso d’ufficio, che prevede un danno ingiusto, è motivato dal fatto che gli “imputati si avvalsero del contesto investigativo per conseguire ed elaborare contra legem il traffico telefonico dei parlamentari”. Questo per “incrociare” i dati e riuscire a “tracciare contatti, relazioni, movimenti degli onorevoli nell’immanenza delle funzioni parlamentari esercitate”.
La difesa: “Acquisì involontariamente i numeri di telefono”. “Non si comprende come si possa sostenere che il mio assistito volesse arrecare danno ai parlamentari in questione, posto solo che acquisì involontariamente i loro numeri di telefono – dice l’avvocato Massimo Ciardullo, difensore di de Magistris insieme con il collega Stefano Montone – . Siamo fiduciosi per il giudizio di appello: la sentenza sarà ribaltata in quanto il reato non sussiste né dal punto punto di vista soggettivo, né da quello oggettivo”. “La pubblicazione delle motivazioni della condanna pronunciata a carico del dotto de Magistris e dell’avvocato Genchi consente finalmente di squarciare il velo fitto ed avvolgente calato sulla verità a causa della diffusione su taluni media di una serie di gravi inesattezze commesse – dice l’avvocato Nicola Madìa difensore di Mastella e Rutelli (quest’ultimo insieme Cristina Calamani) – da chi si è fatto portavoce della sola versione degli imputati senza prestare attenzione alla voce delle vittime degli abusi contestati a coloro che, per la funzione ricoperta e il ruolo che erano stati chiamati a svolgere, dovevano garantire il rispetto delle regole del procedimento penale”.
Proprio questa mattina l’ex pm aveva ribadito su Twitter la sua volontà di non mollare: “Sindaco di strada: non mollo, amo Napoli, non consentirò a politicanti e affaristi di mettere mani su città, lotterò per trionfo giustizia”. Il deposito delle motivazioni consentirà alla difesa di de Magistris di fare ricorso in appello. Nei giorni scorsi il “sindaco sospeso” aveva fatto sapere di essere certo che anche l’appello, come il primo grado, si sarebbe celebrato velocemente. Sul giudizio incombe la prescrizione e per questo la corte d’Appello di Roma dovrebbe fissare in tempi brevi il processo di secondo grado.