Oggi ospito il contributo di un caro amico, Cecco Bellosi, responsabile del gruppo nazionale carcere del Cnca. Cecco conosce a fondo il sistema penale nel nostro Paese e sul tema delle garanzie e dei diritti dei detenuti è una voce autorevole, anche perché ha trascorso una decina d’anni nelle galere della Penisola. Quella che segue è la prima parte di tre. Le altre due, che usciranno a distanza ravvicinata, approfondiscono l’attuale situazione delle carceri e tratteggiano i possibili orizzonti futuri.
Il limite più importante delle riforme in Italia non è solo quello evidente: se ne parla sempre e non si fanno mai; ma è anche quello di avere, persino nei rari periodi in cui l’acqua scaturisce, un respiro tattico e mai un orizzonte strategico. Negli anni ’70 sono state realizzate tre importanti riforme relative ai diritti sociali, guidate dalle forti tensioni sociali del periodo.
La prima era la legge n. 685 del ’75 sulle droghe, che portava con sé il titolo “Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di dipendenza“: il cardine teorico stava nella non punibilità del consumatore e il principale obiettivo era il prendersi cura delle persone con problemi di tossicodipendenza e non la loro chiusura in carcere. In altri termini, lo stato di tossicodipendenza era letto come una situazione da curare sul piano terapeutico ed educativo e non da reprimere sul piano penale.
La seconda era la legge di riforma dell’ordinamento penitenziario, che all’articolo 1 recitava: “Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona“. L’esatto contrario di quello che avveniva prima e che è avvenuto in seguito.
La terza era la legge n.180 del 1978 che all’articolo 1 diceva: “Gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono volontari” e specificava che i trattamenti obbligatori previsti dalle leggi dovevano avvenire nel rispetto della dignità della persona.
Sappiamo com’è poi andata: la legge n. 685 è stata vanificata prima dalla Jervolino-Vassalli e poi dalla Fini-Giovanardi, ispirate da principi di carattere repressivo e stigmatizzante; la legge n. 354 prima dall’emergenza dei cosiddetti “anni di piombo” e, in seguito, dal drastico passaggio, avvenuto a partire dagli anni ’90, alla criminalizzazione delle povertà; la terza dalla presenza di piccoli manicomi diffusi e dalla reintroduzione di strumenti come la contenzione fisica e gli elettroshock, rivalutati nel loro presunto valore terapeutico.
Quelle tre belle leggi non hanno retto l’urto del passaggio, avvenuto in quasi tutti i paesi dell’Occidente, dallo stato sociale allo stato penale. Il loro respiro strategico è stato cancellato dall’incattivimento di società sempre più individualiste. Negli anni ’90 il carcere ha iniziato una vera e propria mutazione antropologica. Da una parte i sepolti vivi del 41 bis, la riedizione aggiornata dell’articolo 90 della legge n. 354 del ’75, per gli affiliati di peso, veri e presunti, alla criminalità organizzata; poi un gruppo consistente di detenuti sottoposto all’alta sorveglianza per reati come l’associazione a delinquere, l’associazione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e il sequestro di persona.
Al centro, si trova un assembramento di poveri disgraziati, ammassati e sovraffollati in celle senza nulla, se non la disperazione. Sono perlopiù tossici che cercavano droga e stranieri che cercavano cibo o rifugio, ma che hanno trovato davanti a loro solo sbarre. In vent’anni, la popolazione carceraria è più che raddoppiata e le carceri sono diventate il luogo, in senso letterale, dei miserabili: coloro che, costretti al di sotto del livello di povertà, non ce la fanno a sopravvivere.
Sono le scorie della globalizzazione. Zygmunt Bauman in Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, ha tracciato le linee del legame forte che unisce l’irrompere della globalizzazione con il grande aumento della popolazione carceraria: negli Stati Uniti, dal ’75 a oggi, i detenuti sono aumentati del 700%; in Francia alcuni anni fa il direttore dei servizi penitenziari di Parigi, nel corso di un’audizione alla Commissione d’inchiesta sulle condizioni negli istituti di pena dell’Assemblea Nazionale, ha detto che le prigioni sono tornate a essere gli ospedali generali di un tempo: l’auberge des pauvres, il ricovero di ogni categoria di emarginati.
Una sintesi efficace della situazione in molti paesi dell’Occidente. Le diseguaglianze prodotte dalla globalizzazione e amplificate dalla crisi sono accompagnate da squilibri sociali sempre più forti, che incidono sulle fasce deboli della popolazione, nei movimenti migratori dal Sud del mondo e all’interno degli Stati dell’Occidente.
La povertà disseminata è la vera altra faccia della medaglia della globalizzazione: qui abita il nucleo forte del passaggio dallo stato sociale allo stato penale. In carcere oggi ci stanno soprattutto gli occupanti abusivi. Circa un detenuto su quattro, quando termina la pena, non sa dove andare: i cambiamenti veloci e traumatici della società lasciano sul terreno delle vittime incolpevoli, i poveri, e delle vittime colpevoli, i disperati che compiono reati per fame di cibo o di droga.
Claudio Figini
Coordinatore della Cooperativa Sociale COMIN e pedagogista
Giustizia & Impunità - 8 Ottobre 2014
Diritti e garanzie nel sistema penale / 1: riforme e controriforme
Oggi ospito il contributo di un caro amico, Cecco Bellosi, responsabile del gruppo nazionale carcere del Cnca. Cecco conosce a fondo il sistema penale nel nostro Paese e sul tema delle garanzie e dei diritti dei detenuti è una voce autorevole, anche perché ha trascorso una decina d’anni nelle galere della Penisola. Quella che segue è la prima parte di tre. Le altre due, che usciranno a distanza ravvicinata, approfondiscono l’attuale situazione delle carceri e tratteggiano i possibili orizzonti futuri.
Il limite più importante delle riforme in Italia non è solo quello evidente: se ne parla sempre e non si fanno mai; ma è anche quello di avere, persino nei rari periodi in cui l’acqua scaturisce, un respiro tattico e mai un orizzonte strategico. Negli anni ’70 sono state realizzate tre importanti riforme relative ai diritti sociali, guidate dalle forti tensioni sociali del periodo.
La prima era la legge n. 685 del ’75 sulle droghe, che portava con sé il titolo “Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di dipendenza“: il cardine teorico stava nella non punibilità del consumatore e il principale obiettivo era il prendersi cura delle persone con problemi di tossicodipendenza e non la loro chiusura in carcere. In altri termini, lo stato di tossicodipendenza era letto come una situazione da curare sul piano terapeutico ed educativo e non da reprimere sul piano penale.
La seconda era la legge di riforma dell’ordinamento penitenziario, che all’articolo 1 recitava: “Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona“. L’esatto contrario di quello che avveniva prima e che è avvenuto in seguito.
La terza era la legge n.180 del 1978 che all’articolo 1 diceva: “Gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono volontari” e specificava che i trattamenti obbligatori previsti dalle leggi dovevano avvenire nel rispetto della dignità della persona.
Sappiamo com’è poi andata: la legge n. 685 è stata vanificata prima dalla Jervolino-Vassalli e poi dalla Fini-Giovanardi, ispirate da principi di carattere repressivo e stigmatizzante; la legge n. 354 prima dall’emergenza dei cosiddetti “anni di piombo” e, in seguito, dal drastico passaggio, avvenuto a partire dagli anni ’90, alla criminalizzazione delle povertà; la terza dalla presenza di piccoli manicomi diffusi e dalla reintroduzione di strumenti come la contenzione fisica e gli elettroshock, rivalutati nel loro presunto valore terapeutico.
Quelle tre belle leggi non hanno retto l’urto del passaggio, avvenuto in quasi tutti i paesi dell’Occidente, dallo stato sociale allo stato penale. Il loro respiro strategico è stato cancellato dall’incattivimento di società sempre più individualiste. Negli anni ’90 il carcere ha iniziato una vera e propria mutazione antropologica. Da una parte i sepolti vivi del 41 bis, la riedizione aggiornata dell’articolo 90 della legge n. 354 del ’75, per gli affiliati di peso, veri e presunti, alla criminalità organizzata; poi un gruppo consistente di detenuti sottoposto all’alta sorveglianza per reati come l’associazione a delinquere, l’associazione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e il sequestro di persona.
Al centro, si trova un assembramento di poveri disgraziati, ammassati e sovraffollati in celle senza nulla, se non la disperazione. Sono perlopiù tossici che cercavano droga e stranieri che cercavano cibo o rifugio, ma che hanno trovato davanti a loro solo sbarre. In vent’anni, la popolazione carceraria è più che raddoppiata e le carceri sono diventate il luogo, in senso letterale, dei miserabili: coloro che, costretti al di sotto del livello di povertà, non ce la fanno a sopravvivere.
Sono le scorie della globalizzazione. Zygmunt Bauman in Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, ha tracciato le linee del legame forte che unisce l’irrompere della globalizzazione con il grande aumento della popolazione carceraria: negli Stati Uniti, dal ’75 a oggi, i detenuti sono aumentati del 700%; in Francia alcuni anni fa il direttore dei servizi penitenziari di Parigi, nel corso di un’audizione alla Commissione d’inchiesta sulle condizioni negli istituti di pena dell’Assemblea Nazionale, ha detto che le prigioni sono tornate a essere gli ospedali generali di un tempo: l’auberge des pauvres, il ricovero di ogni categoria di emarginati.
Una sintesi efficace della situazione in molti paesi dell’Occidente. Le diseguaglianze prodotte dalla globalizzazione e amplificate dalla crisi sono accompagnate da squilibri sociali sempre più forti, che incidono sulle fasce deboli della popolazione, nei movimenti migratori dal Sud del mondo e all’interno degli Stati dell’Occidente.
La povertà disseminata è la vera altra faccia della medaglia della globalizzazione: qui abita il nucleo forte del passaggio dallo stato sociale allo stato penale. In carcere oggi ci stanno soprattutto gli occupanti abusivi. Circa un detenuto su quattro, quando termina la pena, non sa dove andare: i cambiamenti veloci e traumatici della società lasciano sul terreno delle vittime incolpevoli, i poveri, e delle vittime colpevoli, i disperati che compiono reati per fame di cibo o di droga.
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Palermo, 20 gen. (Adnkronos) - "Qual è il suo sogno quando era piccolo?". "Questa è una domanda interessante, perché i sogni cambiano nel corso della vita, con l'età. Quando ero piccolo mi sarebbe piaciuto fare il medico, poi ho cambiato idea. Quando si è a scuola, crescendo, si studia un po' tutto. C'è un momento in cui bisogna scegliere cosa fare. Alla fine ho scelto il diritto, la legge". Così il Capo dello Stato Sergio Mattarella rispondendo ai bambini della scuola de Amicis di Palermo. "Non ho mai sognato di fare il calciatore perché non ero per niente bravo", ha aggiunto sorridendo.
Palermo, 20 gen. (Adnkronos) - "C'è molto di buono in questo paese, e questo mi conforta sempre". Così il Presidente della repubblica Sergio Mattarella ai bambini della scuola de Amicis di Palermo. "La fatica viene cancellate dal vedere cose buone che si vedono in Italia", ha detto.
Palermo, 20 gen. (Adnkronos) - "Le piacerebbe fare un altro lavoro?". Questa è stata a prima domanda rivolta dagli alunni della scuola de Amicis di Palermo al Capo dello Stato Sergio Mattarella, in visita a sorpresa questa mattina nel plesso. "Io sono vecchio - ha risposto - il mio lavoro non è quello che faccio adesso, il mio lavoro abituale era quello di insegnare Diritto costituzionale all'Università, ma ormai non lo faccio più da tempo. Questo impegno che svolgo ora non è un lavoro, è un impegno per la nostra comunità nazionale. E' faticoso, però è interessante perché consente di stare in contatto con la nostra società, con tutti i cittadini di ogni origine, ed è una cosa di estremo interesse".
Palermo, 20 gen. (Adnkronos) - "La musica, così come le iniziative sui libri, la cultura, sono il veicolo della vita, della convivenza, dell'apertura, della crescita personale e collettiva. E' quello che state facendo in questa scuola. Per me è davvero un motivo di soddisfazione essere qui e farvi i complimenti". Così il Capo dello Stato Sergio Mattarella incontrando i bambini della scuola De Amicis. Nel novembre scorso i bimbi della quinta C furono insultati mentre si esibivano davanti alla Feltrinelli, vestiti con abiti tradizionali africani. "Io ogni anno vado in una scuola per l'apertura dell'anno scolastico, ma non è frequente che vada in altre occasioni. Sono lietissimo di essere qui questa mattina- dice Mattarella- E ringraziarvi per quello che fate. Ringrazio i vostri insegnanti per quello che vi trasmettono e per come vi guidano nell'accrescimento culturale".
Palermo, 20 gen. (Adnkronos) - "Voi siete una scuola che con la cultura, la musica, la lettura, e altre iniziative di crescita culturale, esprime i valori veri della convivenza nel nostro paese e nel mondo, che sempre è più unito, connesso, sempre più senza confini. Ed è una ricchezza crescere insieme, scambiarsi opinioni e abitudini, idee, ascoltare gli altri. fa crescere e voi lo state facendo, per questo complimenti". Così il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella si è rivolto ai bambini della scuola De Amicis di Palermo. Nel novembre scorso i bimbi della quinta c, molti dei quali di origini africane, furono insultati per strada mentre si esibivano in uno spettacolo vestiti con abiti tradizionali. "Cercate di trovare la vostra strada secondo le vostre inclinazioni, auguri a tutti voi e complimenti", ha aggiunto. "Sono lietissimo di incontrarvi in questo auditorium che ci accoglie, ragazzi. Ringrazio la dirigente scolastica e i collaboratori, gli insegnanti e li ringrazio per quanto fanno. Voglio fare i complimenti a voi, siete bravissimi. Avete eseguito magistralmente questi due pezzi", ha detto ancora il Capo dello Stato parlando ai ragazzi che si sono esibiti in un breve concerto. "Non è facile con tanti strumenti ad arco, a fiato, a percussione. Complimenti ai vostri insegnanti e a voi".
Palermo, 20 gen. (Adnkronos) - “Vivere insieme, dialogare fa crescere. Rivolgo un sentito grazie ai vostri insegnanti. Insegnare è un’impresa difficile ma esaltante”. Lo ha detto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, rivolgendosi agli alunni della scuola De Amicis-Da Vinci di Palermo dove si è recato a sorpresa questa mattina. I bambini, lo scorso novembre, furono insultati con epiteti razzisti davanti alla Feltrinelli di Palermo, dove si erano esibiti in uno spettacolo tradizionale. Molti dei bimbi della 5 c, visitata oggi da Mattarella, sono di origini africane. Oggi, tutt’altro che imbarazzati dalla presenza dell’ospite illustre, perché la visita è stata tenuta segreta dalla dirigente scolastica Giovanna Genco, i bambini hanno rivolto al Presidente alcune domande, consegnandogli dei doni. Sulla lavagna di classe spiccava un grande tricolore.
I bambini hanno poi scortato il presidente nell’aula magna dove l’orchestra dei ragazzi delle classi della secondaria ha suonato due brani di Giuseppe Verdi, il coro delle Zingarelle dalla Traviata e il 'Va, pensiero' dal Nabucco.
Palermo, 20 gen. (Adnkronos) - Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dopo avere incontrato i bambini della quinta C dell'Istituto De Amicis-Da Vinci di Palermo, che lo scorso novembre furono insultati in centro città per il colore della pelle, perché molti di loro sono di origini straniere, si è fermato in classe a rispondere alle loro domande. Sopra la lavagna in classe c'è una bandiera tricolore.