Solitamente il primo contatto avviene su Skype, più raramente su Facebook. Dalla foto ‘lei’ sembra molto carina, ti contatta e inizia a chiacchierare. La conversazione va avanti “non è che per caso hai anche un profilo Facebook?”. “Certo”, risponde lo sventurato e piazza in mano al ricattatore tutti i suoi possibili contatti. Perché intanto la chiacchierata ha preso quota, si fa intima e lei per fare capire le sue intenzioni gli manda un video hard. Lui pensa sia la sua giornata fortunata e sta al gioco. A video risponde con video o qualche foto dello stesso tenore. E dall’altra parte tutto viene registrato. “E’ a questo punto – racconta Renzo Ferrai, ispettore capo della Polizia postale del Trentino Alto Adige – che scatta l’estorsione”. O paghi, 100-150 euro, o il tuo video sarà caricato su Youtube e condiviso con la fidanzata, parenti e amici. Succede così, sempre più spesso, non solo nei pressi di Trento o Bolzano, dove solo l’ultima settimana sono arrivate una ventina di segnalazioni, ma in tutta Italia.

Di solito Youtube questo tipo di filmati li elimina in fretta, oppure lo fa con solerzia dopo la richiesta della Polizia Postale. Ma la rete è piena di luoghi dove piazzare un filmato compromettente. Una truffa di piccolo cabotaggio “che gioca sui grandi numeri perché probabilmente i tentativi sono centinaia ogni giorno”, aggiunge Ferrai. Denunce ce ne sono poche, spesso si tratta di segnalazioni, di persone che si rivolgono alla Polizia per sapere come comportarsi. E qualcuno paga. C’è il quindicenne come il sessantenne che magari si è beccato anche un bello spavento perché gli hanno inviato un video con una ragazzina chiaramente minorenne. A loro modo gli estorsori sono anche corretti. L’ispettore spiega infatti che non si è mai verificato il caso che dopo il pagamento i truffatori tornassero alla carica con altre richieste. E’ un colpo da una botta e via. Anche se il timore rimane perché la copia di video e foto è sempre nelle loro mani. Ma non si può fare nulla per fermarli? “Sì, ma la procedura è lunga”. Prima ci vuole la querela, poi l’avvio del procedimento penale, l’intervento del magistrato che richiede a Facebook i dati relativi al contatto e la decisione del social network. Tutto è possibile ma la trafila è lunga. E la truffa continua. “Attenzione, quindi, alle richieste di amicizia”.

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