Fino a oggi gli istituti, che grazie al Fondo non rischiano più la corsa allo sportello, hanno aperto il portafoglio per alimentarlo solo se e quando necessario. Ma, con il completamento dell'Unione bancaria europea, dovranno versare risorse pari ad almeno lo 0,8% dei depositi garantiti. Verrà poi ampliato il ruolo del fondo nel finanziare piani di salvataggio di banche in difficoltà
L’anno scorso ha messo a disposizione fino a 280 milioni per il processo di ristrutturazione di Banca Tercas. E ora il Fondo interbancario di tutela dei depositi si appresta a maneggiare il delicatissimo dossier Banca Marche, in amministrazione straordinaria da ottobre 2013, anche se in questo caso si limiterà a fornire garanzie per i crediti in sofferenza con un impegno potenziale intorno agli 800 milioni. I commissari dell’istituto, nell’incontro con i sindacati che si è svolto martedì, hanno fatto sapere che “entro quattro o sei settimane” potrebbe essere raggiunto l’accordo per il salvataggio, sotto la regia di Fonspa (l’ex Credito Fondiario) e, appunto, con l’intervento del Fondo interbancario. Che infatti non solo garantisce i correntisti, ma può anche finanziare misure alternative per prevenire il fallimento di una banca o gestire piani di salvataggio. E il sistema è in evoluzione: con la nascita dell’Unione bancaria europea anche gli istituti italiani, che oggi versano le risorse dovute al Fondo solo se e quando necessario, dovranno rassegnarsi a mettere mano al portafoglio in modo importante anche in via preventiva.
Un antidoto contro la corsa allo sportello – Oggi il Fondo è fondamentalmente un sistema “antipanico”. Ovvero adempie alla sua funzione per il solo fatto di esistere, anche se la sua tenuta di fronte ad una grave crisi del sistema bancario italiano sarebbe tutta da dimostrare. In pratica, in caso di necessità (cioè l’insolvenza della banca) il fondo rimborsa i titolari di conti correnti, certificati di deposito nominativi, assegni circolari e depositi, compresi i conti deposito vincolati, per un ammontare massimo di 100mila euro per titolare. Scacciando così l’incubo di qualsiasi banchiere: la temuta “corsa allo sportello” in seguito alle prime voci, vere o presunte, sulla difficoltà di una banca o dell’intero sistema creditizio. Nessun istituto, neppure il più solido, può infatti reggere una situazione in cui tutti o la gran parte dei depositanti decidono contemporaneamente di presentarsi per ritirare i loro soldi. Su 100 euro di depositi una banca ne tiene a disposizione realisticamente 10 per far fronte alle normali esigenze, mentre i restanti 90 li investe e non può recuperarli con la rapidità che servirebbe per soddisfare nello stesso momento tutti i correntisti.
Ma le banche versano i soldi solo in caso di necessità – Ad assicurare le risorse del Fondo sono le stesse 226 banche consorziate. Tecnicamente dunque non si tratta, almeno in prima battuta, di una garanzia con soldi pubblici. Quasi tutti i Paesi dispongono di uno strumento di questo tipo, pur con diverse soglie di garanzia. Quello italiano ha però la peculiarità di essere finanziato principalmente ex post. Significa che le banche partecipanti hanno dotato il fondo solo di una dotazione minima, pari a 2 miliardi, e si sono impegnate a intervenire in modo più massiccio solo quando se ne presenta la necessità.
Con le “regole comuni” serviranno altri 2 miliardi in cassa – Il sistema attuale è però destinato a cambiare in parallelo con il passaggio della supervisione sul sistema creditizio dell’intera Ue all’Autorità bancaria europea. Anche i fondi di garanzia saranno infatti armonizzati e dovranno sottostare a regole comuni nella gestione delle crisi bancarie. Le banche consorziate italiane saranno tenute tra l’altro a mettere mano al portafoglio e versare in 10 anni risorse utilizzabili ex ante per almeno lo 0,8% dei depositi garantiti. Cioè circa 4 miliardi di euro contro i 2 attuali. L’obbligo scatterà a partire dal recepimento della riforma nel nostro ordinamento, previsto al massimo per il 2016.
Tutti i salvataggi da Prato ad Agrigento – La riforma comprende anche l’ampliamento del ruolo dei fondi interbancari nel finanziamento di misure alternative per prevenire il fallimento di una banca o gestire i processi di salvataggio. Su questo fronte gli interventi effettuati dal Fondo in passato sono stati relativamente limitati: nel 1988 furono per esempio stanziati 800 miliardi di lire (circa 400 milioni di euro) per la Cassa di Risparmio di Prato. Nel 1997 fu la volta del salvataggio per un importo più o meno simile di Sicilcassa del Banco di Sicilia. Nel 2010 sono state erogate alcune decine di milioni di euro per Banca Valle d’Itria e Magna Grecia (5 milioni), Banco Emiliano Romagnolo (16 milioni) e Banca MB (40 milioni). Nel 2011 i sostegni per Banca di Girgenti (una vicenda che si trascina dagli anni ’90) e, ancora, Cassa di Risparmio di Prato. Di fatto, come si vede, il Fondo non è mai stato “testato” in caso di crisi gravi che comportino la necessità di difendere i depositi di istituti di medie e grandi dimensioni.
Garantiti il 95% dei conti italiani – La tutela del Fondo, comunque, si estende in linea teorica a quasi tutte le banche presenti sul territorio italiano comprese quelle estere con filiali nel nostro Paese. Fanno eccezione solo le banche di credito cooperativo, che dispongono però di un loro fondo analogo, e le Poste italiane, che sono protette direttamente dallo Stato. La garanzia copre anche i fondi di persone giuridiche e se si hanno più conti in diverse banche si moltiplica. Al contrario, per chi possiede due conti nella stessa banca (ad esempio da 70 e 60mila euro) vale un’unica soglia di 100mila euro. Secondo alcune stime di Banca d’Italia circa il 95% dei conti correnti italiani è al di sotto di questa soglia e gode pertanto di una piena garanzia di rimborso. L’ultimo rapporto dello stesso Fondo interbancario indica in circa 736 miliardi di euro l’ammontare complessivo dei fondi presenti in Italia ed oggetto di tutela. Di questi, 500 miliardi sono depositati in conti al di sotto dei 100mila euro.