Un re incauto, un abile ministro
Fra gli antenati degli scacchi c’è il chatarunga, inventato in India (fra il IV e il V sec. d. C.) come il suo più prossimo successore: il chatrang. Il gioco, giunto in Persia nel VI sec., sarebbe stato lì ribattezzato shatranj dai conquistatori arabi e sarebbe quindi arrivato in Europa.
La tradizione vuole che l’inventore del chatarunga (in realtà il suo perfezionatore) sia identificato con Sassa (o Sissa, etc.), figlio del re indiano Dahir (o Daher, etc.). Compare in molte leggende che narrano la nascita del gioco, e può indossare ora i panni di un (primo) ministro ora quelli di un dignitario di corte, di un bramino o altro. Su quell’origine un anonimo scrittore vissuto durante il regno di Timur (1370-1405), o negli anni seguenti, ci ha trasmesso – in un’opera incompleta – tre diverse storie. Le racconta tutte e tre Jules Arnous de Rivière (1830-1905), famoso scacchista francese, in un volume tradotto per la prima volta in italiano nel 1861:Nuovo manuale illustrato del giuoco degli scacchi. Leggi e principi. Classificazione degli esordi e fini delle partite […] (Trieste, Coen).
Le tre storie: diversi sovrani, un solo ministro
Nella prima storia il re indiano Kaid, sconfitti tutti i suoi nemici e riportata la pace nel regno, piomba nell’afflizione e nella noia. Per uscirne chiede aiuto al suo ministro Sassa, che gli parla degli scacchi e lo invita a provarli. Sassa si rende conto tuttavia che il gioco è troppo complicato e perciò lo semplifica, riducendo i pezzi in campo a 32 (erano 56). L’idea funziona e, all’offerta di una ricompensa, Sassa risponde al re di non voler null’altro che un diram d’argento per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza e così via fino alla sessantaquattresima. Kaid lo rimprovera per una così modesta pretesa, ma si deve immediatamente ricredere quando il tesoriere lo informa che tutti i diram del globo non sarebbero stati sufficienti ad accontentare Sassa: il sovrano avrebbe dovuto sborsarne ben 18 trilioni 446 biliardi 744 bilioni 73 miliardi 709 milioni 551mila 615 (18.446.744.073.709.551.615). Due gli epiloghi: in uno il re, colpito da tanta saggezza, offre il regno all’alto dignitario, che però rifiuta; nell’altro, ritenutosi preso in giro da lui, lo fa mettere a morte.
Nella seconda storia ecco riaffacciarsi Sassa. Si trova ora a far da primo ministro al giovanissimo figlio del re Fur, salito al trono dopo la morte del padre. Ha il compito di istruirlo velocemente nell’arte della guerra, e risolve il problema con un corso accelerato di scacchi. Il monarca, imparato il gioco, ha la meglio anche lui sui suoi nemici e, tornato a casa, s’infatua del passatempo che l’ha salvato e, con lui, ha salvato il suo regno.
La terza storia vede protagonisti due fratelli, Gau e Ralkland, che si contendono un impero. Ne nasce una guerra civile. A imporsi è il maggiore (Gau), mentre l’altro muore per un aneurisma. Una morte che la madre dei due non accetta, immaginando che la mano assassina sia stata quella del figlio superstite. Entra però in scena l’immancabile Sassa: ricostruisce la battaglia sulla scacchiera, riuscendo a dimostrare alla sovrana come Ralkland sia morto in realtà per cause naturali.
Moltiplicazioni di scintille e chicchi di grano
Un’altra leggenda sugli scacchi, raccontata nell’operetta di un abate (Francesco Cancellieri, Il giuoco degli scacchi, trattatello tradotto dall’inglese […], Venezia 1824, p. 15 sgg.), vede il bramino Sissa alle prese con un principe che si comporta da tiranno. Sissa riesce però a fargli capire, attraverso le regole degli scacchi (da lui inventati per l’occasione), quanto un re debba essere riconoscente ai suoi “pezzi”.
Si ripete qui la storia dell’iperbolica ricompensa (al posto dei diram, però, chicchi di grano), che sarebbe arrivata anche agli orecchi di Dante per il tramite della poesia provenzale: “E poi che le parole sue restaro, /non altrimenti ferro disfavilla / che bolle, come i cerchi sfavillaro. // L’incendio suo seguiva ogne scintilla; /ed eran tante, che ‘l numero loro / più che ‘l doppiar de li scacchi s’inmilla”. (Par., XXVIII, 88-93). Beatrice ha appena finito di parlare che dai cerchi angelici si sprigionano scintille sfavillanti come dal ferro infuocato. Ogni scintilla – nel suo movimento circolare – segue la fiamma da cui si è mossa, e le scintille sono così tante da affondare nelle migliaia più di quanto avvenga con la progressione numerica prodotta dal “raddoppiamento degli scacchi”.
di Massimo Arcangeli e Sandro Mariani