Renzi voleva fare presto e magari, come dicono Cinque Stelle e Forza Italia, ricevere la notizia della fiducia incassata proprio durante il vertice con gli altri leader europei a Milano. E invece il Senato è sempre il Senato ed è stata un’altra giornata di passione anche sul Jobs act, simile alle “battaglie” sulle riforme istituzionali della scorsa estate. Alla fine la tanto osteggiata fiducia passa in piena notte con 165 voti favorevoli, 111 no e due astenuti, dopo una giornata di insulti, liti, crisi di coscienza e lanci di oggetti (identificati: il regolamento del Senato) all’indirizzo del presidente Pietro Grasso. Renzi incassa il sì alla delega (‘in bianco’ secondo l’opposizione) che permette al governo di riscrivere le regole del lavoro, ma lascia sul terreno una scia di polemiche e anche qualche senatore, nonostante la sostanziale tenuta anche nei confronti dei dissidenti che alla fine votano per il sì al governo, con poche eccezioni.
La giornata dell’aula – A metà giornata i grillini alzano la voce e interrompono il discorso del ministro del Lavoro Giuliano Poletti, qualcuno porta al suo banco “un’elemosina” da 50 centesimi, il presidente Piero Grasso sospende la seduta e espelle il capogruppo M5s Vito Petrocelli.
Alla ripresa dei lavori Poletti vuole accelerare e rinuncia al discorso e consegna un documento scritto. Ma Cinque Stelle e Lega Nord cominciano a fare ostruzionismo chiedendo la parola in serie sul calendario dei lavori (per introdurre gli argomenti più diversi). Scoppia il caos totale: Palazzo Madama respinge la proposta di rinviare il voto di fiducia chiesto dal governo sulla riforma del lavoro e parte la protesta: Lega e M5s occupano i banchi del governo, Grasso diventa il mirino di un lancio di fogli e libri, tra cui il regolamento del Senato diventato proiettile per merito del capogruppo del Carroccio Gianmarco Centinaio: “Gliel’ho lanciato, è vero, ma non volevo fargli male, ho buona mira e sapevo che non l’avrei colpito”. Arrivano quasi alle mani perfino senatori Pd e Sel, che sono entrati in Parlamento come potenziali alleati di governo.
La sostanza è che non si vota prima di tarda sera e non solo per il totale caos in Aula, ma perché bisogna aspettare ancora l’ok della commissione Bilancio. “Le reazioni di una parte delle opposizioni fanno parte più delle sceneggiate che della politica – dichiara il presidente del Consiglio – se tutte le volte che andiamo a presentare riforme in Senato dobbiamo assistere a queste sceneggiate. Io non sono preoccupato ma è un segno di mancanza di rispetto da chi dà vita a queste sceneggiate”.
E in tutto questo si perde un po’ il merito della questione. Al centro della discussione c’è l’articolo 18, che però nel disegno di legge delega non viene mai citato. E se Matteo Renzi dice di non temere imboscate, i problemi riguardano il testo. In Aula si vota infatti il maxi-emendamento che riguarda tra le altre cose gli incentivi ai contratti a tempo indeterminato. Ma anche se non è specificato, Palazzo Chigi assicura che la fiducia è sull’articolo 18. Una posizione ribadita dal ministro del Lavoro. “L’articolo 18 – ha detto Poletti – non è l’alfa e l’omega della nostra riflessione. Io rispetto tutte le considerazioni ma credo siano forse state eccessive in senso positivo e negativo. Si tratta di un argomento rilevante ma meno decisivo”.
Poletti: “Indennità in licenziamenti economici, reintegro in discriminatori e disciplinari gravi”
In particolare sull’articolo 18 il ministro ha spiegato che sarà prevista la possibilità del reintegro per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare particolarmente gravi, previa qualificazione specifica della fattispecie”. Saranno invece eliminati “i licenziamenti economici e sostituendolo con un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità”. Poi la questione del riordino dei contratti e dell’abolizione dei contratti a progetto. La “scelta fondamentale per ridurre la precarietà per i lavoratori e dare certezza alle imprese è un drastico riordino delle tipologie contrattuali con l’abolizione delle forme più permeabili agli abusi e più precarizzanti, come i contratti di collaborazione a progetto”. E con orgoglio rivendica: “Noi non ci limitiamo a lamentarci del fatto che ci sono pochi contratti a tempo indeterminato e troppi precari. Noi agiamo per modificare questa situazione”.
Parlamentari Sel e Pd De Petris e Cociancich arrivano quasi alle mani
In serata succede l’impensabile. Ad arrivare quasi alle mani sono i parlamentari di Pd e Sel, cioè coloro che un anno e mezzo fa erano alleati per vincere insieme le elezioni. “Vergogna”. “Come ti permetti”. Tra le urla, sono arrivati quasi al contatto fisico la senatrice di Sel Loredana De Petris e il senatore Pd Roberto Cociancich. Sel protestava contro il presidente Grasso per aver messo in votazione in tempi strettissimi le richieste di variazione del calendario, quando – racconta De Petris – Cociancich ha urlato ai vendoliani “Vergogna”. “Loro violano i regolamento, mentre noi chiediamo di avere solo un po’ di tempo per esaminare il maxiemendamento, e si permettono di gridare a noi ‘vergogna’. A quel punto si creano tensioni cui di solito non partecipiamo. Io mi sono avvicinata a Cociancich – prosegue la senatrice – e gli ho detto ‘come ti permettì. Ma nessun contatto fisico, dopo ci siamo chiesti scusa e lì è finita”. “E’ stato Cociancich – racconta la capogruppo di Sinistra ecologia e Libertà – che ha cominciato ad insultare ed è stato lui che ha cominciato a ricorrere alle mani. E quando poi dai banchi dietro ai nostri ho cominciato a sentire insulti del tipo ‘sono fascistì rivolti a noi di Sel, non ci ho visto più. Noi di Sel cerchiamo sempre di mantenere un certo aplomb in Aula. Ma dal Pd stavolta la provocazione che è arrivata è stata troppo grande e io ho reagito”. A proposito di una senatrice del Pd (la storica Emma Fattorini) che dichiara di essere rimasta vittima dello scontro anche fisico tra la De Petris e Cociancich, la parlamentare di Sel si giustifica: “forse con il ciondolo del bracciale l’avrò anche toccata, ma è stato del tutto involontario…”.
Forza Italia vota contro, Alfano soddisfatto
Voto contrario per Forza Italia: “Il Senato vota un atto vuoto e sconosciuto. Un imbroglio. Il Jobs Act è un vuoto compromesso, ma Matteo Renzi lo presenta come una riforma epocale”, scrive su twitter il presidente dei deputati azzurri Renato Brunetta, che subito dopo aggiunge: “Con la riforma del lavoro di Renzi come sarà votata oggi i mercati non investiranno in Italia”. Si dice invece soddisfatto il ministro dell’interno Angelino Alfano. “Grande soddisfazione”, ha detto intervistato da Agorà, “siamo contenti del voto di fiducia sulla delega sul Jobs Act. Il Parlamento dà la delega al Consiglio dei ministri. Un punto di equilibrio positivo che può consentire una riforma del mercato del lavoro che è superato da tutti gli altri paesi”. Ha poi sottolineato “l’orgoglio” del suo partito per aver “aperto il varco” e il supporto a Renzi per superare “le resistenze della vecchia sinistra”.
Politica
Jobs act, proteste M5s e Lega in Aula. Libri contro Grasso. Sì a fiducia nella notte
Caos al Senato prima dell'ok - 165 sì, 111 no, due astenuti - alla fiducia al governo per la riforma del lavoro. Grillini e Carroccio gridano e interrompono il discorso di Poletti. Poi lanciano fogli e pure il regolamento di Palazzo Madama contro il presidente. Arrivano quasi alle mani anche i parlamentari di Pd e Sel. Minoranza democratica in crisi, il senatore Tocci si dimette. Il premier: "Possono contestarci, ma cambieremo il Paese"
Renzi voleva fare presto e magari, come dicono Cinque Stelle e Forza Italia, ricevere la notizia della fiducia incassata proprio durante il vertice con gli altri leader europei a Milano. E invece il Senato è sempre il Senato ed è stata un’altra giornata di passione anche sul Jobs act, simile alle “battaglie” sulle riforme istituzionali della scorsa estate. Alla fine la tanto osteggiata fiducia passa in piena notte con 165 voti favorevoli, 111 no e due astenuti, dopo una giornata di insulti, liti, crisi di coscienza e lanci di oggetti (identificati: il regolamento del Senato) all’indirizzo del presidente Pietro Grasso. Renzi incassa il sì alla delega (‘in bianco’ secondo l’opposizione) che permette al governo di riscrivere le regole del lavoro, ma lascia sul terreno una scia di polemiche e anche qualche senatore, nonostante la sostanziale tenuta anche nei confronti dei dissidenti che alla fine votano per il sì al governo, con poche eccezioni.
La giornata dell’aula – A metà giornata i grillini alzano la voce e interrompono il discorso del ministro del Lavoro Giuliano Poletti, qualcuno porta al suo banco “un’elemosina” da 50 centesimi, il presidente Piero Grasso sospende la seduta e espelle il capogruppo M5s Vito Petrocelli.
Alla ripresa dei lavori Poletti vuole accelerare e rinuncia al discorso e consegna un documento scritto. Ma Cinque Stelle e Lega Nord cominciano a fare ostruzionismo chiedendo la parola in serie sul calendario dei lavori (per introdurre gli argomenti più diversi). Scoppia il caos totale: Palazzo Madama respinge la proposta di rinviare il voto di fiducia chiesto dal governo sulla riforma del lavoro e parte la protesta: Lega e M5s occupano i banchi del governo, Grasso diventa il mirino di un lancio di fogli e libri, tra cui il regolamento del Senato diventato proiettile per merito del capogruppo del Carroccio Gianmarco Centinaio: “Gliel’ho lanciato, è vero, ma non volevo fargli male, ho buona mira e sapevo che non l’avrei colpito”. Arrivano quasi alle mani perfino senatori Pd e Sel, che sono entrati in Parlamento come potenziali alleati di governo.
La sostanza è che non si vota prima di tarda sera e non solo per il totale caos in Aula, ma perché bisogna aspettare ancora l’ok della commissione Bilancio. “Le reazioni di una parte delle opposizioni fanno parte più delle sceneggiate che della politica – dichiara il presidente del Consiglio – se tutte le volte che andiamo a presentare riforme in Senato dobbiamo assistere a queste sceneggiate. Io non sono preoccupato ma è un segno di mancanza di rispetto da chi dà vita a queste sceneggiate”.
E in tutto questo si perde un po’ il merito della questione. Al centro della discussione c’è l’articolo 18, che però nel disegno di legge delega non viene mai citato. E se Matteo Renzi dice di non temere imboscate, i problemi riguardano il testo. In Aula si vota infatti il maxi-emendamento che riguarda tra le altre cose gli incentivi ai contratti a tempo indeterminato. Ma anche se non è specificato, Palazzo Chigi assicura che la fiducia è sull’articolo 18. Una posizione ribadita dal ministro del Lavoro. “L’articolo 18 – ha detto Poletti – non è l’alfa e l’omega della nostra riflessione. Io rispetto tutte le considerazioni ma credo siano forse state eccessive in senso positivo e negativo. Si tratta di un argomento rilevante ma meno decisivo”.
Poletti: “Indennità in licenziamenti economici, reintegro in discriminatori e disciplinari gravi”
In particolare sull’articolo 18 il ministro ha spiegato che sarà prevista la possibilità del reintegro per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare particolarmente gravi, previa qualificazione specifica della fattispecie”. Saranno invece eliminati “i licenziamenti economici e sostituendolo con un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità”. Poi la questione del riordino dei contratti e dell’abolizione dei contratti a progetto. La “scelta fondamentale per ridurre la precarietà per i lavoratori e dare certezza alle imprese è un drastico riordino delle tipologie contrattuali con l’abolizione delle forme più permeabili agli abusi e più precarizzanti, come i contratti di collaborazione a progetto”. E con orgoglio rivendica: “Noi non ci limitiamo a lamentarci del fatto che ci sono pochi contratti a tempo indeterminato e troppi precari. Noi agiamo per modificare questa situazione”.
Parlamentari Sel e Pd De Petris e Cociancich arrivano quasi alle mani
In serata succede l’impensabile. Ad arrivare quasi alle mani sono i parlamentari di Pd e Sel, cioè coloro che un anno e mezzo fa erano alleati per vincere insieme le elezioni. “Vergogna”. “Come ti permetti”. Tra le urla, sono arrivati quasi al contatto fisico la senatrice di Sel Loredana De Petris e il senatore Pd Roberto Cociancich. Sel protestava contro il presidente Grasso per aver messo in votazione in tempi strettissimi le richieste di variazione del calendario, quando – racconta De Petris – Cociancich ha urlato ai vendoliani “Vergogna”. “Loro violano i regolamento, mentre noi chiediamo di avere solo un po’ di tempo per esaminare il maxiemendamento, e si permettono di gridare a noi ‘vergogna’. A quel punto si creano tensioni cui di solito non partecipiamo. Io mi sono avvicinata a Cociancich – prosegue la senatrice – e gli ho detto ‘come ti permettì. Ma nessun contatto fisico, dopo ci siamo chiesti scusa e lì è finita”. “E’ stato Cociancich – racconta la capogruppo di Sinistra ecologia e Libertà – che ha cominciato ad insultare ed è stato lui che ha cominciato a ricorrere alle mani. E quando poi dai banchi dietro ai nostri ho cominciato a sentire insulti del tipo ‘sono fascistì rivolti a noi di Sel, non ci ho visto più. Noi di Sel cerchiamo sempre di mantenere un certo aplomb in Aula. Ma dal Pd stavolta la provocazione che è arrivata è stata troppo grande e io ho reagito”. A proposito di una senatrice del Pd (la storica Emma Fattorini) che dichiara di essere rimasta vittima dello scontro anche fisico tra la De Petris e Cociancich, la parlamentare di Sel si giustifica: “forse con il ciondolo del bracciale l’avrò anche toccata, ma è stato del tutto involontario…”.
Forza Italia vota contro, Alfano soddisfatto
Voto contrario per Forza Italia: “Il Senato vota un atto vuoto e sconosciuto. Un imbroglio. Il Jobs Act è un vuoto compromesso, ma Matteo Renzi lo presenta come una riforma epocale”, scrive su twitter il presidente dei deputati azzurri Renato Brunetta, che subito dopo aggiunge: “Con la riforma del lavoro di Renzi come sarà votata oggi i mercati non investiranno in Italia”. Si dice invece soddisfatto il ministro dell’interno Angelino Alfano. “Grande soddisfazione”, ha detto intervistato da Agorà, “siamo contenti del voto di fiducia sulla delega sul Jobs Act. Il Parlamento dà la delega al Consiglio dei ministri. Un punto di equilibrio positivo che può consentire una riforma del mercato del lavoro che è superato da tutti gli altri paesi”. Ha poi sottolineato “l’orgoglio” del suo partito per aver “aperto il varco” e il supporto a Renzi per superare “le resistenze della vecchia sinistra”.
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Roma, 13 feb. (Adnkronos) - "Negli ultimi anni, gli stabilimenti cinematografici di Cinecittà sono stati al centro dell’attenzione per il numero e la qualità delle produzioni nazionali e internazionali che vi hanno lavorato. Si è parlato di un profondo rilancio industriale, grazie a una gestione virtuosa e all’efficace attuazione del Pnrr, che porterà a un sostanziale raddoppio della capacità produttiva. Oggi, però, Cinecittà torna a far parlare di sé in un contesto ben diverso: è diventata il simbolo della crisi in cui il governo ha gettato l’industria cinematografica e audiovisiva italiana. La situazione è estremamente grave, i teatri sono sostanzialmente vuoti e non ci sono produzioni, ed è ulteriormente compromessa da scelte discutibili, che hanno tutto il sapore di uno spoil system scandaloso, colpendo l’intera dirigenza di Cinecittà". Così il deputato democratico e componente della Commissione Cultura della Camera, Matteo Orfini, commenta la notizia dei nuovi licenziamenti tra i dirigenti di Cinecittà da parte della nuova governance guidata da Manuela Cacciamani e Chiara Sbarigia.
"Il ministro Giuli è totalmente assente di fronte a questa situazione, mentre la gestione – ormai politicizzata – di Cinecittà sembra essere nelle mani della sottosegretaria Borgonzoni, il cui interventismo su decisioni che non le competono sta suscitando forti polemiche".
Roma, 13 feb. (Adnkronos) - "Deve essere chiaro che l’architettura ideologica su cui si sono costruite le istituzioni multilaterali, a partire dal sistema Onu, è sotto attacco. Anche il nostro governo, del resto, sta delegittimando e mettendo in discussione da tempo gli organismi internazionali, in linea con la dottrina Trump, ormai leader globale della nuova internazionale nera sovranista. La mancata firma dell’Italia dell'appello di 79 paesi dell’Onu a favore della Cpi contro l’ordine esecutivo firmato da Trump ne è la dimostrazione plastica ed è un fatto che ci preoccupa enormemente. Meloni pensa davvero che non abbia più senso la Corte penale internazionale, il cui statuto è stato sottoscritto, peraltro, a Roma?". Così il presidente dei senatori del Pd Francesco Boccia intervenendo al convegno 'La Corte Penale Internazionale: funzioni e prospettive', organizzato dal gruppo delle Autonomie in corso di svolgimento nella Sala degli Atti parlamentari della Biblioteca del Senato, in piazza della Minerva a Roma.
“L'Italia, come ha fatto Ursula Von Der Leyen per l'Ue, dovrebbe difendere con forza, non indebolire, questo presidio di legalità internazionale. Segnalo, peraltro, che rispetto alla Cpi e alla vicenda Almasri il governo si è posto anche in contrasto con norme, princìpi e decisioni europee. Ma ripeto c’è un tema più generale di attacco sistematico al multilateralismo”.
“Le parole più importanti sul tema del multilateralismo - ha insistito Boccia - le ha pronunciate il Presidente Mattarella a Marsiglia ricordando come misure autoritarie, protezionismo, attacchi al sistema multilaterale abbiano condotto al dramma della seconda guerra mondiale. Un richiamo forte alla tradizione multilaterale e pro-europea dell’Italia che andrebbe ascoltato dal nostro governo Purtroppo accade l’esatto contrario: mi riferisco, per esempio, alle recenti dichiarazioni del Ministro Foti che ha addirittura definito un ‘orrore’ l’operato della Cpi".
“Gli Usa di Trump -prosegue Boccia- stanno provando a scardinare l’ordine mondiale fondato sul multilateralismo ed è chiaro che Meloni commette un errore strategico ma anche storico se pensa di inseguire in modo subalterno il trumpismo, a discapito del rafforzamento dell’Europa oltre che delle istituzioni multilaterali. La scelta di fondo decisiva per il nostro futuro è tra un’Europa asservita o autonoma e protagonista nella scena globale. Meloni e i sovranisti hanno scelto la prima strada”.
“Temo che lo scontro acceso con la corte penale per il nostro rifiuto di arrestare e trasferire Almasri - ha concluso il capogruppo dem - sia elemento chiarificatore della volontà del governo di agire non in un quadro condiviso di regole ma nel rapporto ‘one to one’ con Trump. L’unità di vedute con gli USA sta conducendo del resto anche a denunciare l’attività dell’Oms in linea con i sentimenti no vax della destra e poi a dichiarare che ove fosse necessario non si eseguirà il mandato di arresto della Cpi contro Netanyahu, come dichiarato dal Ministro degli Esteri”.
Roma, 13 feb. (Adnkronos) - "Finalmente, dopo mesi di inspiegabili e indifendibili contrapposizioni, i giudici della Consulta sono stati nominati. Sono tutti nomi di alto livello e a ciascuno di loro vanno le nostre congratulazioni. È un bene che alla fine maggioranza e opposizione abbiano trovato un accordo ragionevole per evitare la paralisi di un'istituzione fondamentale, ma ora è tempo di mettersi rapidamente al lavoro perchè vanno affrontati e sciolti nodi importanti che riguardano non soltanto il funzionamento dello Stato ma soprattutto la vita di milioni di italiani". Lo dice Carlo Calenda sul voto dei giudici della Consulta.
Milano, 13 feb. (Adnkronos) - "Oggi è una giornata importantissima per noi perché riusciamo a portare in Italia un treno che è al top della tecnologia. Il treno già di suo è un mezzo green. In questo caso riusciamo a sostituire i treni diesel con i treni ad idrogeno e che quindi non hanno emissioni di Co2". Queste le parole di Marco Biffoni, responsabile commerciale e business development di Alstom Italia, l’azienda che ha realizzato il treno a idrogeno arrivato lo scorso 23 gennaio nel nuovo impianto di manutenzione e di rifornimento di idrogeno di Rovato.
Il convoglio, che fa parte dei 14 acquistati da Fnm nel progetto H2iseO grazie ai finanziamenti di Regione Lombardia, anche tramite risorse Pnrr, è giunto nel bresciano dal circuito di prova di Salzgitter (Germania) del costruttore Alstom. Biffoni poi spiega: "E' un treno che garantisce una capacità di trasporto importante in termini di passeggeri. E' estremamente innovativo perché è il primo treno in Italia che utilizza la tecnologia dell'idrogeno per produrre energia elettrica e quindi può sostituire quelli che sono i treni diesel. E' un gioiello di tecnologia e ha un'accoglienza per i passeggeri assolutamente importante".
Il treno a idrogeno è ora atteso da altre importanti tappe: "Ha già fatto una serie di test -conclude Biffoni- che gli hanno consentito tutta quella che è la messa a punto di un treno nuovo in termini di tecnologia. Ora sta facendo test di refueling dell'idrogeno dopodiché inizierà i test sul territorio sulla tratta Brescia-Iseo-Edolo per finire la messa a punto e poi procedere verso quella che sarà l'entrata del servizio commerciale".
Roma, 13 feb. (Adnkronos) - "La notizia dei licenziamenti di massa operati dalla cooperativa incaricata della gestione dei centri di Shengjin e Gjader conferma la debolezza e l'inadeguatezza di un progetto che fin dall'inizio ha mostrato evidenti criticità". Così la capogruppo del Partito Democratico nella Commissione Affari Costituzionali della Camera, Simona Bonafè, commenta la decisione della cooperativa Medihospes di interrompere i contratti della maggior parte dei dipendenti assunti per la gestione delle strutture in Albania.
"Il cosiddetto 'Progetto Albania', voluto dalla premier Giorgia Meloni per la gestione dei migranti, si sta rivelando un'iniziativa fallimentare e dannosa per le casse dello Stato. Si tratta di uno spreco di denaro pubblico che supera il miliardo di euro, risorse che potevano essere investite in servizi essenziali per i cittadini italiani, come sanità, istruzione e welfare".
“Il governo prenda atto del fallimento del progetto e non insista con ulteriori strappi istituzionali e interventi legislativi che rappresenterebbero solo un accanimento nel tentativo di mantenere in vita un'iniziativa ormai compromessa”.
Roma, 13 feb. (Adnkronos) - “Il rispetto della Costituzione da sempre ha guidato e guida i nostro comportamenti parlamentari. E anche oggi il rispetto della Carta ci ha guidato nel voto dei quattro giudici della Corte. A loro vada il nostro augurio di buon lavoro: si tratta di alti profili che siamo certi avranno la Carta come stella polare del loro agire". Così il presidente dei senatori del Pd Francesco Boccia.
"Come Pd avevamo sempre auspicato il rispetto del compromesso costituzionale previsto dalla Carta che chiede espressamente un confronto tra maggioranza e opposizione e il rispetto reciproco. E’ positivo che in questo senso abbiano lavorato Elly Schlein e Giorgia Meloni. Su queste basi hanno sempre lavorato il Pd e i suoi gruppi parlamentari. Siamo riusciti a tenere unite le opposizioni e insieme abbiamo costruito un dialogo positivo con la maggioranza. Ora la Corte torna nella pienezza della sua composizione e dovrà affrontare delicati dossier che riguardano complesse vicende sociali e istituzionali. Oggi, nonostante il confronto politico verta su questioni che riguardano temi molto delicati, dalla separazione dei poteri ai rapporti tra apparati dello Stato, siamo riusciti tutti a rispettare il dettato costituzionale".
"Resta un rammarico: ci saremmo augurati che anche sulle grandi questioni che hanno caratterizzato questa metà legislatura la destra avesse utilizzato questo rispetto per la Costituzione: avremmo evitato scontri duri come quelli in corso su premierato, autonomia e giustizia. Per quello che ci riguarda, nel Paese e in Parlamento, noi continueremo a farlo”.
Roma, 13 feb. (Adnkronos) - Accompagnare le imprese nel percorso verso la sostenibilità aziendale articolata nelle tre dimensioni Esg, ambientale, sociale e di governance, per aumentare la competitività, mettendo al centro il capitale umano. Questo l’obiettivo del progetto di Federimprese Europa, in partnership con Confederazione Nazionale Esercenti (Cne), che insieme hanno creato un dipartimento ad hoc, un registro/albo per ‘Sustainability Manager’ (Smc) e un Comitato Tecnico Scientifico che valuti l'impatto di ogni idea-progetto.
Compito del Sustainability Manager l’elaborazione di un assessment dell’impresa che fotografi lo stato attuale dell’azienda rispetto all’obiettivo di sostenibilità con un’analisi approfondita dell’impatto ambientale di ogni singola attività aziendale e di tutte le attrezzature e le risorse presenti all’interno dell’organizzazione.
Una volta raccolti tutti i dati, l’Smc sottopone il report al Comitato Tecnico che lo analizza, stabilisce la distanza da percorrere e tutti i passi necessari al raggiungimento del traguardo della sostenibilità in impresa con un progetto di durata triennale che prevede tutti gli interventi che l’azienda eseguirà in ambito Esg sostenuti da una pianificazione personalizzata di accesso alle più importanti risorse di finanza agevolata. Inoltre, verrà svolto un percorso di monitoraggio durante tutta la fase di attuazione del progetto di sostenibilità aziendale verificandone gli sviluppi.