Il Ros dei Carabinieri salvò Calogero Mannino. Lo salvò dalla condanna a morte già emessa da Totò Riina nei primi mesi del 1992, ma lo salvò anche dal rapporto Mafia e Appalti, “depurandolo” dai riferimenti politici. Lo sostiene il pm Roberto Tartaglia, che oggi ha iniziato la sua requisitoria al processo contro l’ex ministro democristiano, celebrato con il rito abbreviato davanti al gup di Palermo Marina Petruzzella. Il rapporto Mafia e Appalti è l’indagine del Ros dei Carabinieri sul sistema d’infiltrazione di Cosa Nostra nelle commesse pubbliche in Sicilia, depositata al giudice Giovanni Falcone il 20 febbraio del 1991.
“Di Mafia e Appalti – ha spiegato il pm – ne esistono due refertazioni: una data a Falcone e depurata dai riferimenti politici, l’altra già pronta e completa nel 1991, che però aveva seguito chissà quali canali occulti fino alle fughe di notizie trapelate sui giornali: solo che di quelle notizie non pubblicate sui quotidiani, la procura non ne era a conoscenza”. Il rapporto Mafia e Appalti è la principale arma di difesa utilizzata fino ad oggi dalla difesa di Mario Mori: sarebbe per quell’inchiesta che venne assassinato Paolo Borsellino, e non invece perché aveva scoperto la Trattativa in corso tra i militari e Vito Ciancimino. La procura di Palermo, però, oggi disegna un quadro diverso: un’informativa più leggera consegnata dal Ros senza i nomi dei politici, nomi pesanti come quelli di Salvo Lima, Rino Nicolosi e lo stesso Mannino, cancellati dal rapporto, nonostante agli atti ci siano già dalla fine del 1989 diverse intercettazioni telefoniche.
Poi, dopo la strage di via d’Amelio, soffiate dell’informativa su Mafia e Appalti originale finiscono sui giornali: solo a quel punto il Ros deposita anche gli elementi sugli uomini politici. “Le indagini condotte dalla procura di Palermo furono condizionate da alcune anomalie, vennero disposte senza quello che il Ros aveva acquisito ben un anno prima – ha continuato Tartaglia – Il tema Mafia e Appalti diventa l’ennesimo elemento sul rapporto illecito tra Subranni e Mannino: d’altra parte anche Angelo Siino ci dice che dietro il Ros c’è l’ex ministro”.
Secondo la ricostruzione dei pm che indagano sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra, è Mannino l’uomo che per primo dà l’input per aprire dei contatti con la mafia, consapevole del fatto che dopo Salvo Lima, i kalashnikov dei corleonesi erano già pronti per lui. Ed è da quella primavera del 1992 che è iniziato il racconto di Tartaglia, da quegli incontri con Bruno Contrada, all’epoca numero tre del Sisde, per “discutere della situazione siciliana”.
A cercare un contatto con Cosa Nostra sarebbero poi stati i carabinieri del Ros, Mori e De Donno, sotto preciso ordine di Subranni: oggi sono tutti a processo per la Trattativa. Nel giugno del 1992 viene avvicinato Vito Ciancimino: è da quel momento, che – secondo l’accusa – Cosa Nostra stoppa gli attentati contro i politici, colpevoli di non aver mantenuto la promesse di bloccare il Maxi Processo. Il pentito Giovanni Brusca racconta che, dopo l’omicidio del maresciallo Giuliano Guazzelli, aveva già iniziato i sopralluoghi per eseguire la sentenza di morte contro Mannino: poco prima della strage di Capaci, però, arriva il contrordine. “Da quando Mori e De Donno contattano Ciancimino – ha concluso il pm – la storia della strategia di Cosa Nostra cambia per sempre: non si parla più della questione dei rami secchi, e non si devono più uccidere i politici, ma si cambiano gli obiettivi”. Dopo i primi contatti tra il Ros e l’ex sindaco mafioso di Palermo, a saltare in aria sono i magistrati, i civili che abitano in via dei Georgofili a Firenze e quelli che abitano via Palestro. I politici come Mannino invece avranno salva la vita.
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