Hans-Werner Sinn non le manda a dire. L’influente presidente dell’Ifo, Istituto tedesco per lo studio della congiuntura economica, è noto per le sue sfuriate contro Bce, spesa pubblica e indebitamento degli Stati. Serve rigore: solo il rigore dei conti permetterà all’Europa di uscire dalla crisi. Finora niente di nuovo, il mantra dell’austerity viene recitato ormai da tutte le parti come un disco rotto. Ma il professor Sinn pontifica dalla sua cattedra lanciando strali verso obiettivi sempre nuovi e sempre più precisi.
Ieri, in un editoriale del quotidiano economico Handelsblatt, è toccato all’Italia. Il nostro paese è in stagnazione da oltre dieci anni e dallo scoppio della crisi (fine 2007) ad oggi è caduto, risalito e ricaduto per ben tre volte, il Pil è sceso complessivamente del 9% e la produzione industriale del 24%. Come ha risposto l’Italia? Nel modo peggiore, scrive Sinn: gonfiando ancora di più il suo debito, grazie ai tassi bassi garantiti dalla Bce e dalle azioni di salvataggio dell’euro. “Ora Renzi vuole fa ripartire la crescita”, spiega l’arcigno professore. “Ma quello che vuole fare in realtà è accumulare ancora più debiti”.
Certo, con i debiti si può stimolare la domanda interna, “ma sarebbe una domanda artificiale, un fuoco di paglia”. Che fare allora? Per Sinn non ci sarebbero alternative: perché l’Italia torni a funzionare bisogna svalutare l’euro in Italia. Visto che l’euro o si svaluta dappertutto o non si svaluta da nessuna parte, questo significherebbe svalutare i beni e i servizi che l’Italia produce e vende per adattare il loro prezzo alla minore produttività italiana. Si chiama “svalutazione reale” e non è certo la prima volta che se ne parla. Il professor Sinn scende però nei dettagli: da quando si decise di introdurre l’euro (1995) alla fine del 2013 – spiega – l’Italia è diventata più cara del 25% rispetto ai suoi partner commerciali. Il 17% a causa di un’inflazione relativamente più alta, a cui va sommato l’8% dovuto alla rivalutazione della lira prima dell’entrata nell’euro. Rispetto alla Germania – che invece nel frattempo ha introdotto politiche di contenimento salariale (cosa che Sinn omette di dire) – l’Italia sarebbe diventata più cara addirittura del 42%.
Ma in cosa si tradurrebbe una “svalutazione reale”? Hans-Werner Sinn accenna alla “moderazione salariale”, a “maggiore flessibilità” nel mercato del lavoro. In effetti, se si vuole diminuire il prezzo di un bene che si esporta e non si puo’ intervenire sul tasso di cambio, la via più rapida passa per il taglio dei salari. Una misura che, come deve ammettere lo stesso Sinn, porterebbe sì a un abbassamento dei prezzi italiani ma aumenterebbe il peso del debito privato mettendo in difficoltà i debitori, il cui debito reale crescerebbe. “Molte imprese e famiglie finirebbero in bancarotta”. In più, aggiungiamo noi, si abbasserebbero le entrate fiscali e peggiorerebbe la dinamica del debito pubblico. “Una valle di lacrime”, continua il professore, che però nessun attore di “un mondo politico (italiano) preso da preoccupazioni di breve periodo” avrebbe il coraggio di attraversare.
L’economista più ascoltato dai parlamentari e funzionari ministeriali tedeschi – secondo un sondaggio della Frankfurter Allgemeine Zeitung – la pensa così. Angela Merkel e il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble non l’hanno mai particolarmente amato. Agli economisti preferiscono da sempre i giuristi e Schäuble ha attaccato apertamente Sinn quando predicava contro il meccanismo europeo di stabilità, nel 2012.
Ma il professore dell’austerity parla alla pancia dei conservatori tedeschi. A quel ventre inquieto che a destra della Cdu, con l’affermarsi del partito anti-euro AfD nelle elezioni europee e regionali, sta diventando sempre più molle. Nelle segreterie di Cdu e Csu difficilmente potranno continuare ad ignorarlo.