Qualcuno sarà portato a pensare che gli ebook mi sono antipatici. Più d’uno se ne è già convinto quando a metà settembre ho osato parlare di una vulnerabilità nel contesto dell’editoria elettronica. Non lo avessi mai fatto. Trafitto dagli strali di chi – non conoscendomi – mi ha dipinto come un ripudiatore dell’innovazione voglio subito precisare che stavolta io non c’entro nulla.
A scanso di equivoci (ma con sicuro dolore di chi dovrà indirizzare altrove i commenti più beceri) il “colpevole” di quel che sto per scrivere ha un nome e un cognome. Si chiama Nate Hoffelder e il suo blog si intitola The Digital Reader. Chi vuole insultarlo (magari in dialetto, così non capisce e non si offende) lo può trovare su Twitter e bersagliare direttamente sul suo magazine online anche per circostanze che io non ho riportato né riporterò in futuro.
Veniamo al dunque. Hoffelder avrebbe scoperto che il software “Digital Editions e-book and PDF reader” registra tutto quel che fa chi se ne serve e spedisce le relative informazioni ad Adobe, casa produttrice dell’applicazione. Una volta sinceratosi di questa circostanza l’avventuroso Nate ha ritenuto opportuno rappresentare l’accaduto ad Adobe, ma l’azienda (forse troppo impegnata a leggere i log in arrivo da tutto il mondo) non ha dato alcun riscontro e si è limitata a comunicare ad un’altra testata giornalistica di maggior caratura un laconico messaggio in cui si assicurava che la faccenda era sotto la lente dei loro esperti.
Digital Edition (DE) è il programma utilizzato da migliaia di biblioteche per offrire al pubblico la consultazione di opere in loro possesso che soggiacciono a particolari vincoli di fruizione come quelli previsti dal digital rights managament. Come un vecchio bibliotecario di un tempo, DE verifica se l’esemplare dell’ebook è disponibile oppure se è già utilizzato da qualcuno. E fin qui poco male. Anzi, niente di strano.
In realtà il software in questione è molto più solerte dell’omino che aveva in custodia libri e scaffali, perché stabilisce una connessione con il server “adelogs.adobe.com” cui invia un file ricco di dettagli. Grazie a questa comunicazione Adobe è in grado di conoscere chi è il lettore (DE chiede all’utente di inserire il proprio Adobe-ID), cosa sta leggendo, quando ha “ritirato” l’e-book, a che pagina è arrivato, a che velocità sta procedendo… Questo flusso non è confortante perché consente la schedatura, ad esempio, di interessi e passioni, opinioni politiche, convinzioni religiose o filosofiche, ed anche orientamenti sessuali.
Secondo Nate Hoffelder l’incredibile storia ha anche un ulteriore, non meno sorprendente lato B. Adobe non si limiterebbe – secondo lui – a prender nota di quel che gli utenti fanno con DE, ma non esiterebbe (proprio grazie a tale applicazione) ad eseguire una scansione del computer dell’utilizzatore, andando a rastrellare i metadati di tutti gli ebook memorizzati sul disco fisso e radiografando “chi ha cosa”.
Sperando che qualcuno dell’ufficio del nostro Garante della Privacy trovi il tempo di approfondire la questione e capire se c’è da preoccuparsi, chi è già pronto ad avviare la sassaiola di commenti si rivolga a chi ha tirato fuori la vicenda. Chi vuole andare a rigare l’automobile del responsabile della rivelazione o a bucarne le gomme, sappia che Nate vive in Virginia, al numero 13884 di Montorlay Lane in quel di Woodbridge, città il cui nome potrebbe erroneamente portare i web-vendicatori anglofoni su per il Parco dello Stevio fino a Ponte di Legno…
Twitter @Umberto_Rapetto