Secondo il Pentagono non basteranno a salvare Kobane dai miliziani dello Stato Islamico, ma i bombardamenti aerei proseguono. Quattro raid aerei sono stati effettuati stamane dalla Coalizione internazionale guidata dagli Usa sulle postazioni dell’Isis nei pressi della città curda siriana al confine con la Turchia. Lo riferisce la televisione panaraba Al Jazeera, precisando che gli attacchi sono avvenuti nel settore Ovest della città, dove si registrano in queste ore i combattimenti più intensi tra i jihadisti e le milizie curde dell’Ypg che difendono la città.
Lo Stato islamico controlla più di un terzo di Kobane, riferisce l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus). L’Ondus aggiunge che i combattimenti dentro e fuori Kobane proseguono anche stamani. Secondo Rami Abdurrahman, direttore dell’Osservatorio, oltre 500 persone sono state uccise nella città e nei suoi dintorni da quando sono cominciati i raid aerei. L’attivista ha inoltre spiegato che i militanti hanno chiesto rinforzi per prendere il controllo della città siriana della loro roccaforte sul confine, Jarablous, dalla città di Manbij e dalla provincia di Aleppo.
Dopo gli Stati Uniti (che ieri avevano accusato Ankara di inventare scuse per non intervenire) anche Londra ha ribadito l’esigenza di un intervento armato da parte della Turchia. Il Regno Unito vorrebbe che il governo turco aumentasse il proprio impegno nella difesa di Kobane. Lo ha detto il segretario alla Difesa britannico Michael Fallon in un’intervista a radio Bbc 4, affermando che “la Turchia potrebbe sicuramente essere di aiuto. È una questione che riguarda Ankara, ma anche altri alleati nella regione hanno dato una mano”. Quella di Kobane “è una situazione che può essere risolta non soltanto dagli Stati Uniti e dal Regno Unito ma dall’intera regione, quindi ci piacerebbe sicuramente vedere la Turchia maggiormente coinvolta, anche se alla fine è una loro decisione”, ha affermato ancora Fallon.
La risposta di Ankara arriva a stretto giro: è impensabile che la Turchia possa avviare da sola una campagna militare di terra contro lo Stato islamico, ha dichiarato il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu durante una conferenza stampa ad Ankara insieme al nuovo direttore della Nato Jens Stoltenberg. Cavusoglu ha ribadito che la Turchia è pronta ad assumere un ruolo più importante nella lotta di contrasto una volta raggiunto l’accordo con la coalizione guidata dagli Stati Uniti. “La Turchia non mancherà di svolgere il proprio ruolo internazionale”, ha spiegato. Da parte sua, Stoltenberg ha ricordato che non esiste una soluzione facile per respingere l’assedio Kobanie “L’Isil pone una grave minaccia per il popolo iracheno, per il popolo siriano, per la regione, e per i Paesi della Nato. Quindi – ha dichiarato Stoltenberg – è importante che tutta la comunità internazionale rimanga unita in questo sforzo a lungo termine”. Per tutta risposta il partito repubblicano turco (Chp), principale formazione dell’opposizione, ha presentato una mozione parlamentare che chiede un intervento militare specifico per “liberare Kobane dall’Isis”. Il partito chiede che la mozione sia discussa “immediatamente“.
Si moltiplicano le voci di chi ventila un possibile intervento di terra contro lo Stato Islamico. Il tema è caldo negli Stati Uniti, dove le opinioni dei militari si oppongono alla strategia finora messa in campo dalla Casa Bianca. “Stiamo facendo tutto ciò possiamo” per fermare l’Isis, ma i raid aerei degli Usa e degli alleati da soli non riusciranno “a salvare” Kobane. Lo ha affermato il portavoce del Pentagono, ammiraglio John Kirby, rispondendo ad una domanda di un giornalista. Dichiarazioni che mostrano l’ennesima divergenza di opinioni tra il governo Obama e il Dipartimento della Difesa americano. Se dalla Casa Bianca ribadiscono l’impossibilità di inviare soldati per un’invasione di terra, il Pentagono ritiene l’intervento necessario per poter arginare e sconfiggere i miliziani in nero. Divergenze anche sulla possibilità di creare una “zona cuscinetto”, con il Segretario di stato, John Kerry, che apre allo studio di qualsiasi possibilità, mentre il Pentagono smentisce che si sia mai discusso di una fascia di terreno tra la prima linea jihadista e quella turca.
In Europa, intanto, il timore di possibile attacchi resta elevato. “Presto potremmo dover affrontare un enorme numero di ritorni da Siria e Iraq. Dobbiamo essere pronti ad individuarli”, così il coordinatore antiterrorismo Ue Gilles De Kerchove al briefing del consiglio Ue, parlando dei foreign fighters.