Di solito hanno la pelle scura, sovente il velo, abitano luoghi lontani. Per questo il sussulto arriva, ma è fugace, perché la distanza culturale e geografica funziona da filtro e argine. In fondo sì, è tremendo, ma non mi riguarda. Il fenomeno è quello delle spose bambine, un destino femminile che tocca, spesso già fin dalla nascita attraverso la consuetudine dei matrimoni combinati, oltre 70 milioni di bimbe e ragazze minori.

Secondo i dati dell’Unicef i tassi più elevati si registrano in Asia e Africa, dove ai matrimoni precoci si affiancano altre pratiche lesive dei diritti umani, come le mutilazioni genitali, la malnutrizione, l’analfabetismo, la schiavitù sessuale.

Rispetto ad alcune di queste ingiustizie e violenze potrebbe sembrare che il ‘solo’ matrimonio sia un male minore, ma non è così: come conseguenza quasi sempre la bambina smette la scuola, resta incinta rischiando la vita, perda la possibilità di sviluppare i suoi talenti e di scegliere la vita che avrebbe potuto vivere.

A livello globale oggi quasi 400 milioni di donne di età compresa tra 20 e 49 anni (oltre il 40%, del totale) si sono sposate in minore età, sempre secondo i dati Onu. Per questo, in occasione della giornata delle bambine e delle ragazze, prevista per l’11 ottobre, è stata rilasciata una campagna di comunicazione pensata in Norvegia nella quale l’idea innovativa è quella di dare alla bimba che sta per essere data in sposa ad un uomo che ha tre volte i suoi anni il volto di una bionda figlia del nord. 

Il blog è strutturato come un diario, che racconta i preparativi (e le rinunce) verso l’evento, e questa volta la distanza rispetto alla geografia e alla cultura sono così ridotte da rendere disturbante il clima pastello del sito. La realtà, fuori dall’assenza prospettica della rete, è che qui e ora, a qualche fuso orario di differenza, ci sono bambine alle quali è negata la libertà di esistere come essere umano, la base minima che dovrebbe essere garantita per ogni vivente.

Sposa-bambina

Elisabetta Borzini, che da anni lavora in progetti di sviluppo dedicati alle donne e alle bambine, e che scrive tra l’altro per questo sito mi raccontava di recente una conversazione capitata con una giovane madre vietnamita, qualche mese fa. Questa donna, mamma di una bimba di dodici anni, si augurava che la figlia potesse essere presa a lavorare in fabbrica, o, come opzione comunque felice, in miniera. Purtroppo era invece molto probabile che dovesse andare sposa ad un uomo in Cina, dove, per la politica del figlio unico, mancano le femmine, che vengono quindi comprate nelle zone povere del Vietnam.

Dietro il ‘semplice’ matrimonio precoce c’è altro. C’è il fatto che la sposa bambina sarebbe, di fatto, a disposizione di tutti gli uomini del villaggio. Ecco perché la miniera è il sogno, qui e ora, di quella madre per sua figlia.

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