Negli ultimi giorni, la strana vicenda processuale e politica sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia è ritornata ad occupare le pagine dei quotidiani, dopo che la Corte d’Assise di Palermo ha finalmente deciso che Napolitano dovrà testimoniare. E’ dovuto passare un anno da quando, all’udienza del 28 ottobre 2013, i giudici si erano riservati di decidere in ordine alla richiesta di Napolitano di essere esonerato dalla testimonianza, non avendo egli nulla da dire, nessuna circostanza utile da riferire al processo. Proprio in queste ore, tuttavia, la stessa Corte d’Assise ha rigettato la richiesta formulata dai boss Totò Riina e Leoluca Bagarella – nonché dall’ex ministro Nicola Mancino, di poter assistere (in videoconferenza) alla deposizione del Capo dello Stato. E’ la resa definitiva al Capo dello Stato? E’ la fine del “braccio di ferro” che, in quest’ultimo anno, Napolitano ha condotto contro la magistratura?
Napolitano era già riuscito una prima volta nei suoi tentativi di sottrarsi alle richieste degli inquirenti, appoggiato dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza 1/2013, aveva accolto il conflitto di attribuzione da lui promosso nei confronti della Procura di Palermo disponendo la distruzione immediata e l’inutilizzabilità di tutte le intercettazioni di conversazioni cui aveva partecipato il Presidente della Repubblica. Ma, chiusa la vicenda «intercettazioni», la magistratura aveva tentato un’altra strada: quella della testimonianza diretta di Napolitano al processo sulla Trattativa Stato-Mafia. Anche in questo caso, il Capo dello Stato ha fatto il possibile per evitare l’incontro con i giudici: dapprima inviando una lettera al presidente della Corte d’Assise di Palermo con la quale offriva «all’organo giudicante elementi di fatto idonei a valutare più approfonditamente l’utilità della testimonianza del capo dello Stato», una sorta di “testimonianza scritta” (in cui, peraltro, il Capo dello Stato faceva intendere di non aver nulla di dire, o di non voler dire nulla) che la Corte d’Assise ha deciso di non acquisire neppure al fascicolo; poi, con una nuova lettera, il 7 novembre 2013, nella quale Napolitano, pur dichiarando questa volta «la propria disponibilità a testimoniare», invitava i giudici a valutare « ulteriormente […] l’utilità del reale contributo che tale testimonianza potrebbe dare, tenuto conto delle limitate conoscenze sui fatti di cui al capitolato di prova, che nella medesima lettera vengono dettagliatamente riferite».
Alla fine, dunque, la magistratura sembrava non aver ceduto. La Corte d’Assiste ha, infatti, osservato che non si può escludere il diritto di ciascuna parte di chiamare e interrogare un testimone su fatti rilevanti per il processo «solo perché quel testimone abbia, in ipotesi anche e persino, in una precedente deposizione testimoniale, escluso di essere informato dei fatti medesimi», disponendo così l’assunzione della testimonianza del Capo dello Stato.
Ma la cosa, come detto, non è finita qui. L’ordinanza della Corte dispone, infatti, che la testimonianza sia assunta, senza alcuna pubblicità, direttamente nelle stanze del Quirinale, e, per il momento, alla sola presenza dei magistrati e dei difensori degli imputati. E gli imputati stessi? Cosa prevede la legge?
La testimonianza del Presidente della Repubblica dovrebbe essere assunta, almeno secondo parte della dottrina, ai sensi dell’ art. 502 c.p.p., il quale prevede non soltanto la necessaria partecipazione del pm e dei difensori delle parti, ma dispone, nel suo secondo comma, che “il giudice, quando ne è fatta richiesta, ammette l’intervento personale dell’imputato interessato all’esame”.
La richiesta, come è noto, è stata fatta da Riina e Bagarella – oltre che da Mancino: Napolitano faccia a faccia (mediante la “videoconferenza”) con i capi mafiosi? La Procura di Palermo aveva espresso parere positivo alla partecipazione, ma la Corte, proprio in queste ore, ha detto di no: gli imputati non potranno assistere ed intervenire alla deposizione del Capo dello Stato.
Decisione giusta, o soltanto “opportuna”? Decisione che applica la legge, o che salva il Capo dello Stato dalla legge e da un faccia a faccia imbarazzante? Secondo diversi autori, l’art. 502 c.p.p. non consentirebbe al giudice di esercitare alcun potere discrezionale, essendo egli obbligato, a fronte della richiesta degli imputati, ad ammetterne la partecipazione, al fine di garantire il contraddittorio: “ammette”, nel testo dell’art. 502 c.p.p., significa “deve ammettere”. Se così fosse, allora la decisione presa ora dalla Corte d’Assise violerebbe il contraddittorio ed i diritti di difesa degli imputati, con conseguenti effetti sullo svolgimento dell’intero processo.
Per salvare il Quirinale si rischia un processo nullo? La presenza degli imputati – per quanto “inopportuna” possa apparire ai benpensanti ed agli addetti al “protocollo” del Quirinale – sarebbe stata l’unico modo per assicurare non solo il contraddittorio tra le parti all’interno del processo, ma anche un minimo di pubblicità ad una testimonianza di cui, altrimenti, non sapremo mai nulla. Ma è proprio questo il punto: a costo di violare i diritti degli imputati, di rischiare che tutto il procedimento venga travolto, da calpestare il principio del contraddittorio, si doveva garantire a Napolitano di essere il testimone segreto di un segreto che forse mai conosceremo.