Le speculazioni sulla sua sorte proseguono: c’è chi parla di una malattia (gotta, diabete o dei dolori alla caviglie per via del suo peso), chi sventola l’ipotesi di un colpo di Stato. Notizia trapelatami tra l’altro in questi giorni da fonti diplomatiche, attendibili, ma comunque impossibile da verificare in queste ore. Ho provato a fare una chiamata anche al senatore Antonio Razzi, così per sentire che aria tirasse, ma la risposta è stata lapidaria, anche se accompagnata da una sorpresa che qualche dubbio lo lascia, come se Razzi non sapesse che su qualche media nazionale e oltreconfine fosse iniziata a circolare la notizia del golpe. “Ho parlato con l’ambasciata, mi hanno detto che è tutto sotto controllo”. Pace. E invece no. Pace non proprio.
Perché il capo dei Kim non si fa vedere da più di un mese. E anche i media di regime che continuano a lodarlo come il “giovane generale”, non ne pubblicano più le foto in prima pagina. Dietro alla sua assenza, vuoi perché fa spettacolo, vuoi perché forse è davvero così, sta piano piano spuntando la sagoma della sorella. Ve la ricorderete il 10 marzo, giorno della sua prima apparizione in pubblico, con tanto di ingresso nella nomenklatura del regime. Oggi 27enne, si chiama Kim Yo-jong, e in molti la accreditano come la nuova guida suprema. Difficile. Oltre a lei c’è infatti Hwang Pyong So, una sorta di numero 2 del regime. Non molti giorni fa Pyongyang lo ha inviato in Sud Corea con una delegazione importante, era scortato da due guardie del corpo, e ciò è stato inevitabilmente fonte di nuove speculazioni: la scorta è riservata solo al lider maximo.
Kim Yong-nam è poi un altro degli uomini alla finestra: fa parte del Politburo (l’ufficio politico) del Comitato centrale del partito ed è il Presidente del Presidium dell’Assemblea Suprema del Popolo. In questo ruolo, secondo le gerarchie viene designato come il “capo di Stato nominale”, mentre la Costituzione affida al “Grande leader” defunto, Kim Il-sung, l’attributo di “Presidente eterno del paese”. Dopo di lui, sempre nel Politburo c’è Kim Kyong-hui, figlia di Kim Il-sung e della sua prima moglie, nonché sorella di Kim Jong-il ed ex moglie di Jang Sung-taek, il famoso zio giustiziato nel dicembre 2013 a Pyongyang dopo essere stato accusato di tradimento e corruzione. Lei è persino dal gennaio 2014 che non si fa più vedere in pubblico e in molti ritengono possa essere morta. Ufficialmente serve come segretario per l’organizzazione del Partito dei Lavoratori ed è un importante membro di quella che era la cerchia ristretta di amici e consiglieri del “Caro leader”.
Al suo fianco Pak Pong-ju, attuale premier e quindi capo del governo, davanti al vice maresciallo Choe Ryong-hae, un militare di ferro che in realtà non ha mai ricevuto particolare attenzione fino alla morte di Kim Jong-il. E’ sempre stato considerato la chiave del potere di Kim Jong-un, la pedina giusta per ripristinare il controllo del partito sui militari, che secondo una certa scuola di pensiero terrebbero da sempre Kim Jong-un per il colletto della giacca. Che fine abbia fatto il paffutello di famiglia, in ogni caso, non è dato saperlo. Se fosse stato davvero malato, come recita la versione ufficiale, nulla avrebbe però vietato al regime di montare la solita messinscena per mostrarlo, magari all’interno di un’azienda durante un sopralluogo o seduto ad una scrivania.
La verità è che anche suo padre, e prima ancora suo nonno, amavano sparire ogni tanto per far parlare di loro. Del resto con Seul si è appena riaperta la via del dialogo dopo l’escalation di tensione di inizio anno e probabilmente l’obiettivo è solo riempire le pagine dei giornali per ricordare al mondo che la Corea del Nord non è ancora morta. Al contrario, invece, di quel che si è lasciato credere finora.