Il fattoquotidiano.it ha chiesto al direttore scientifico, Giuseppe Ippolito, di fare il punto sulla situazione. Per quanto riguarda il nostro Paese "lo scenario più probabile è che una persona infetta sia rimpatriata da un’area dove è in corso l’epidemia. Ma dobbiamo essere preparati anche a gestire l’eventualità che un paziente rispondente alla definizione di caso sospetto bussi alla porta di un nostro Dipartimento di emergenza/pronto soccorso o a un reparto di malattie infettive"
È uno dei due centri di riferimento nazionali scelti dal ministero della Salute per il trattamento di eventuali casi di Ebola, qualora il virus che ha già ucciso più di 4mila persone in 8 mesi si presentasse anche nel nostro Paese. L’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, un centro d’eccellenza con letti di alto isolamento, personale specializzato, ambulanze con bioprotezione, è già da tempo operativo con tre laboratori mobili e propri operatori e virologi nei Paesi dell’Africa occidentale colpiti dall’epidemia.
Abbiamo chiesto al direttore scientifico dello Spallanzani, Giuseppe Ippolito, di aiutarci a fare il punto sull’epidemia, che fa sempre più paura soprattutto nel Continente nero, tanto da spingere il governo marocchino a chiedere il rinvio della Coppa d’Africa di calcio, in programma dal 17 gennaio all’8 febbraio 2015, per “evitare assembramenti cui partecipino” persone provenienti da “Paesi colpiti dal virus”. “Esistono specifiche linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) relative alla pianificazione di eventi internazionali cui potrebbero partecipare individui provenienti da Paesi colpiti da Ebola”, sottolinea l’epidemiologo italiano.
Quali sono le caratteristiche del virus Ebola?
La malattia da virus Ebola (Mve) è una grave patologia acuta, spesso fatale. Sono quattro gli aspetti che contraddistinguono il virus: elevata mortalità, alta contagiosità, assenza di terapia specifica e assenza di profilassi, tutte caratteristiche in comune con altri agenti biologici potenziali armi bioterroristiche, come antrace e peste. La letalità, cioè il numero di morti sul totale dei malati, va dal 25 al 90%. Nell’epidemia in corso in Africa occidentale è di circa il 50%.
Come ha avuto origine questa epidemia?
Il primo caso è stato notificato all’Oms dal ministero della Salute della Guinea nel marzo di quest’anno. L’indagine retrospettiva indicherebbe, però, l’origine dell’epidemia nel dicembre 2013. Il primo caso sarebbe stato, in realtà, una bambina di 2 anni, deceduta con sintomi compatibili a Ebola il 6 dicembre dello scorso anno nella regione forestale di Guéckédou, in Guinea, al confine con Liberia e Sierra Leone. Da questa regione di confine sarebbe partito un primo focolaio tra i familiari e, quindi, nei villaggi circostanti. La rapida estensione ad altri distretti della regione e alla capitale Conakry non esclude, inoltre, la possibilità che il virus sia stato trasmesso per mesi prima che l’epidemia divenisse evidente, permettendo così il perpetuarsi di altre catene di trasmissione finora sconosciute. In seguito, dal 29 marzo alcuni casi sono stati segnalati dalla confinante Liberia e, a partire dal 25 maggio, dalla Sierra Leone, arrivando anche in questi Paesi alle capitali. Per la prima volta, inoltre, il virus Ebola ha viaggiato in aereo e raggiunto la Nigeria: un quarantenne americano di origine liberiana è arrivato il 20 luglio scorso a Lagos con un volo di linea dalla Liberia, dove aveva avuto contatto con un caso di Ebola. La Nigeria ha poi avuto altri 19 casi, l’ultimo l’8 settembre: sono necessari 42 giorni (il doppio del periodo di incubazione) perché la Nigeria sia dichiarata ufficialmente “Ebola-free”. Un unico caso ha raggiunto, invece, il Senegal via terra, ma nel Paese non si è instaurata alcuna epidemia.
Perché l’epidemia si è diffusa così tanto e così in fretta?
L’estrema povertà e la fragilità del sistema sociosanitario dei Paesi colpiti hanno contribuito all’estendersi dell’epidemia. Due contesti hanno, in particolare, fatto da amplificatori della trasmissione del virus nei Paesi colpiti. In primo luogo, l’ambiente sanitario. I Paesi colpiti hanno, infatti, sistemi sanitari fragili e molti operatori sono stati colpiti dalla malattia assistendo pazienti infetti, attraverso uno stretto contatto con il malato in assenza delle precauzioni raccomandate per il controllo dell’infezione. In secondo luogo, le cerimonie funebri, poiché i riti prevedono spesso un contatto diretto e prolungato con il corpo del defunto.
Dichiarata “Emergenza di sanità pubblica internazionale”, l’attuale epidemia di Ebola, in termini di numero di pazienti e per estensione geografica, è la peggiore dal 1976, anno di scoperta del virus. Le ultime stime dell’Oms parlano di oltre 8mila casi, poco più di 4mila morti e più di 300 operatori sanitari colpiti. Alcuni malati, inoltre, sono stati rimpatriati nei Paesi occidentali di origine e, per la prima volta, sono stati segnalati casi in Paesi non africani. Un paziente ha, infatti, mostrato i sintomi a pochi giorni dal suo arrivo dalla Liberia negli Stati Uniti ed è poi deceduto. Un’operatrice sanitaria spagnola si sarebbe, invece, contagiata dopo aver assistito un malato di Ebola rimpatriato in Spagna.
Come si propaga il virus e come si fa a evitare il contagio?
I pipistrelli della frutta sono considerati ospiti naturali del virus Ebola. L’uomo s’infetta attraverso il contatto stretto con sangue, secrezioni o organi di animali selvatici infetti, vivi o morti, come appunto pipistrelli, ma anche grandi scimmie o antilopi della foresta. Il virus si diffonde, quindi, nella comunità da uomo a uomo, attraverso il contatto diretto con la cute non integra o le mucose, oppure indiretto con superfici e materiali contaminati (ad esempio vestiti o biancheria), con sangue o altri fluidi corporei di persone infette. Il malato rimane contagioso finché il suo sangue e le sue secrezioni, compresi latte materno e sperma, contengono il virus.
Il controllo dell’epidemia prevede interventi a più livelli, dalla prevenzione alla gestione del paziente, fino alla sorveglianza dei contatti. È necessario ridurre il rischio di trasmissione da animali selvatici all’uomo. E, soprattutto, tra esseri umani, isolando subito il paziente che mostra i sintomi e adottando scrupolose misure di precauzione.
Quali sono i rischi per il nostro Paese?
Il rischio che un caso di Ebola possa verificarsi in Italia è basso, ma non impossibile. Lo scenario più probabile è che un caso sia rimpatriato da un’area dove è in corso l’epidemia. Ma dobbiamo essere pronti anche a gestire l’eventualità che un paziente rispondente alla definizione di caso sospetto bussi alla porta di un nostro Dipartimento di emergenza/pronto soccorso o a un reparto di malattie infettive.
Quali sono i sintomi? Cosa occorre fare se ci si ammala?
Il quadro clinico, soprattutto quello iniziale, è aspecifico e può assomigliare ad una sindrome di tipo influenzale, o ad altre malattie infettive da prendere in considerazione in un individuo che ritorni dall’Africa, come ad esempio la malaria. Dopo un periodo d’incubazione – quello compreso tra il contagio e l’inizio dei sintomi – variabile tra 2 e 21 giorni e in cui il paziente non è contagioso, la malattia ha un esordio improvviso con febbre, dolori articolari e muscolari, cefalea, infiammazione alla faringe con difficoltà a deglutire. A queste prime manifestazioni fanno seguito vomito, diarrea, arrossamento cutaneo, alterata funzionalità epatica e renale, e talvolta emorragie interne o esterne.
La persona che non manifesta i sintomi ma ha avuto un’esposizione ad un caso di Ebola deve comunicare immediatamente tale rischio e sarà sottoposta a sorveglianza, fino ai 21 giorni dall’esposizione, attraverso un periodo di quarantena domiciliare o il ricovero in un reparto di malattie infettive. Chiunque rientri da un viaggio in un’area epidemica compiuto negli ultimi 21 giorni, o abbia avuto negli ultimi 21 giorni un’esposizione ad un caso di Ebola, in caso di comparsa di un qualsiasi sintomo riconducibile alla malattia deve contattare immediatamente una struttura sanitaria. La rete delle emergenze 118 ha in atto protocolli per la gestione e il trasporto in sicurezza del caso sospetto.
A che punto è la ricerca di una terapia? Quali sono i progetti più avanzati?
Il trattamento di supporto è attualmente l’unica misura efficace nella gestione del paziente colpito da Ebola. Alle nostre latitudini possiamo, infatti, garantire un trattamento capace di migliorare la sopravvivenza di un individuo infettato. Purtroppo, però, al momento non esistono terapie disponibili contro il virus. Ma solo potenziali candidati.