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Cassa depositi e prestiti, una finta ricca. E il presidente Bassanini sogna il Quirinale

A nessuna banca è consentito investire in partecipazioni azionarie un solo euro più del patrimonio netto: significherebbe mettere a rischio soldi non propri. E a fronte dei 18 miliardi di patrimonio netto, Cdp ha in portafoglio partecipazioni per 32 miliardi. Ecco come funziona

È la zia ricca d’Italia, quella a cui fai gli auguri di Natale quando ti serve l’aiutino per cambiare la macchina sperando che il prestito diventi regalo. Di fronte a qualsiasi ostacolo si chiama in causa la Cassa Depositi e Prestiti. Ci sono decine di miliardi di fatture non pagate dalla Pubblica amministrazione? Chiediamo a Cdp, diranno ministri tecnici e politici. Telecom Italia non ha i miliardi necessari a sistemare la peggior rete d’Europa? Sentiamo che cosa dice Cdp. C’è da rattoppare il bilancio dello Stato con qualche finta privatizzazione? Cdp comprerà senza esitazione. Tutti però, governo in testa, fingono di non vedere la dura realtà: la Cdp è come la zia facoltosa che ha lasciato tutto alle Orsoline, residuando ai nipoti il dolore, quello vero. Questo è il vero nodo che il governo Renzi dovrà affrontare nei prossimi mesi, insieme a quello dei vertici: la Cassa è solo apparentemente ricca.

Vanta un attivo patrimoniale di 314 miliardi, ma di questi solo 18 sono suoi (in gergo si chiama patrimonio netto, è la somma del capitale sociale e delle riserve), gli altri 296 miliardi sono debiti. La Cassa però esprime una forza lobbistica senza pari, per cui è difficile trovare qualcuno disposto a dire che il re è nudo. La stessa Banca d’Italia usa toni insolitamente delicati per far notare che a nessuna banca è consentito investire in partecipazioni azionarie un solo euro più del patrimonio netto: significherebbe mettere a rischio soldi non propri. A fronte dei 18 miliardi di patrimonio netto, Cdp ha in portafoglio partecipazioni per 32 miliardi: tra esse i pacchetti di controllo dei tre gioielli quotati in Borsa, Eni, Terna e Snam. Raccoglie risparmio e lo presta ma non è una banca, come la pipa di Magritte. Burocrati e giuristi se vanno d’accordo fanno miracoli.

Ma di chi sono i soldi con cui il presidente Franco Bassanini e l’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini se la tirano da ricchi e potenti? Dei piccoli risparmiatori che affidano magre finanze alle Poste in cambio del rendimento minimo di buoni fruttiferi e libretti. Nel 2013 il cosiddetto “popolo delle vecchiette” ha affidato a Cdp 242 miliardi, remunerati con 5,4 miliardi, al tasso medio del 2,1 per cento. Ecco la magia: Cdp gira i soldi in gran parte allo Stato, comprando Bot, Cct e Btp e alimentando un conto presso la Tesoreria. Nel 2013 ha prestato al Tesoro 173 miliardi, incassando interessi per 5,9 miliardi, al tasso medio del 3,4 per cento, superiore del 60 per cento a quello pagato alle Poste. Se il Tesoro piazzasse direttamente i suoi titoli alle vecchiette risparmierebbe 2,3 miliardi. Invece lascia il pizzo alla Cdp. Fatto sta che nel 2013 la Cassa ha casualmente fatto 2,3 miliardi di utile netto.

Così sappiamo chi paga i lussuosi propositi di Cdp. E si spiega perché Bassanini, dopo una vita da politico iscritto a tutti i partiti, adesso che è banchiere parla da onnipotente. In una napoleonica intervista al Foglio – dopo averci indotto a credere di essere l’unico umano in grado di farsi ascoltare da Matteo Renzi per più di qualche minuto (“da alcuni mesi ha costruito un rapporto speciale con il segretario del Pd – telefonate, sms, consigli, cene”) – ha lanciato il guanto di sfida: “Noi ci mettiamo in gioco. Possiamo triangolare con il governo per stimolare la crescita. Possiamo riprodurre da un certo punto di vista il vecchio modello Iri. La Cdp, quando sarà, vedrete che non si tirerà indietro”.

Tireranno dritto Bassanini e il suo dante causa Giuseppe Guzzetti, ottantenne presidente dell’Acri, l’associazione delle Fondazioni bancarie. Ecco la seconda stranezza. Dieci anni fa, Giulio Tremonti ebbe l’idea creativa, com’era di moda dire allora, di privatizzare la Cassa per ridurre il perimetro del debito pubblico. Solo che adesso lo Stato non è più indebitato con le vecchiette delle Poste ma con la Cdp, per cui, quando privatizzano vendendo alla Cassa ora privata, essa paga lo Stato ritirando parte dei suoi prestiti allo Stato che è costretto a emettere nuovi Bot, cosicché il debito pubblico non cala di un solo centesimo. Per architettare questa finzione, Tremonti ha regalato alle Fondazioni bancarie (altro mostro privato con denaro pubblico) il 20 per cento della Cassa: in questi dieci anni le Fondazioni hanno preso dalla Cdp dividendi per 1,3 miliardi, più di quanto hanno pagato le azioni. Così il contribuente italiano scopre di essersi messo in casa un socio che non rischia niente ma se c’è da guadagnare si prende la sua parte. E soprattutto comanda: Guzzetti nomina il presidente e ha diritto di veto sulle modifiche dello Statuto. Se Bassanini volesse davvero fare della Cassa il nuovo Iri, dovrebbe chiedere il permesso al presidente della Fondazione Cariplo.

In attesa della palingenesi destinata – stando alle parole di Bassanini – a rimettere in carreggiata l’economia italiana e – stando alle battute dei maligni – a spianare la strada del Quirinale al nuovo Grande Vecchio del renzismo, la Cassa fa piccoli affari. Investe i soldi delle vecchiette in iniziative dai nomi altisonanti (Fondo strategico italiano, Fondo italiano d’investimento) che, non potendo cambiare le sorti dell’industria italiana, migliorano l’umore dei beneficiari. Ancora dev’essere comunicata ai contribuenti la ragione per cui 100 milioni dei loro risparmi sono stati investiti nella casa farmaceutica Kedrion, che fa capo alla famiglia di Andrea Marcucci, parlamentare Pd e renziano ante-marcia. O quale sia il vantaggio per gli italiani di aver investito 151 milioni nella Valvitalia, che produce valvole. O, infine, perché comprare dalla Banca d’Italia il suo pacchetto di azioni delle Assicurazioni Generali. Si dirà: è tutto pubblico, una mano lava l’altra. Ma la Cassa non è più pubblica e quando lo Stato gli svende la Fintecna, come ha fatto, parte del bottino va alle Fondazioni, che a loro volta lo distribuiscono nei mitici “territori”, dove irrigano il consenso dei politici che scelgono i vertici delle Fondazioni. Nel 2013, degli 840 milioni erogati dalle Fondazioni, 150 circa venivano dal dividendo Cdp. Un meccanismo apparentemente perfetto ma che, secondo notizie non confermate ufficialmente, avrebbe messo una pulce nell’orecchio della Corte dei conti. È tutto un complesso di cose che fa sì che in tanti si aspettino da Renzi, prima o poi, una botta di rottamazione. In mancanza di una strategia che vada oltre i convegni, Bassanini non va più d’accordo con Gorno Tempini. Parcheggiato al vertice di Terna c’è Matteo Del Fante, fino a pochi mesi fa direttore generale della Cdp. È fiorentino, è amico di Renzi. Magari è bravo lo stesso.

da Il Fatto Quotidiano dell’8 ottobre 2014