L’ultimo sbarco si era concluso con una festa sulla spiaggia. Alcuni volontari giocavano a nascondere i giubbotti di salvataggio. I primi ad arrivare sul posto portarono legna da ardere per i falò. Rimasero accesi tutta la notte per le danze delle donne. Un gruppo improvvisato cantava come avessero passato il Mar Rosso per sempre. C’era pane per tutti a cominciare dai bambini. I marinai di un paesino poco distante portarono ceste di pesci. L’alba indietreggiava per dare più tempo ai cantastorie. Il monumento ai dispersi nel mare si era trasformato in bosco. Il cimitero dei naufraghi era scomparso. C’è chi cominciava a costruire una casa senza porte. Muratori e carpentieri insegnavano il mestiere di tessere aquiloni. Il sindaco senza fascia tricolore brindava con la compagnia. La giunta aveva deciso di cambiare il nome della piazza del comune. Dalle panchine si poteva seguire il volo dei gabbiani. Alla fontana c’era acqua fresca per tutti.
L’ultimo muro era appena stato smantellato. Le pietre e i calcinacci erano serviti per fabbricare il nuovo ponte. Le torri di guardia e i fili spinati erano usati come stenditoi. Calzini, camicie, pantaloni, sciarpe, fazzoletti, gonne e indumenti intimi erano stesi ad asciugare. La stireria era poco distante dal sarto che soleva rammendare grembiuli. Il ferro da stiro funzionava col carbone abbandonato nelle retrovie. Il cemento rimasto inutilizzato serviva per intonacare le prigioni sempre aperte. Su quelle i bambini disegnavano aerei a forma di farfalla. I numerosi musei della pace avevano ricevuto ognuno un pezzo di muro. Senza darlo a vedere giocavano a nascondino coi ciechi accompagnati che lo visitavano. I vecchi posti di controllo erano forni dove si fabbricava il pane. I documenti coi visti d’ingresso cambiavano data e timbro a seconda delle frontiere. Gendarmi e doganieri offrivano bibite e gelati per ogni gusto e stagione.
L’ultima guerra era finita una domenica di sole. I feriti avevano ricevuto il nobel della pace. I morti si erano associati in confraternite senza statuto. Le armi si erano di colpo zittite. I fabbricanti avevano dimenticato a cosa potessero servire. Quanto ai commercianti avevano iniziato a piantare viti e olivi sulle colline. Le mine smisero di esplodere. I cannoni diventarono subito un riparo per animali selvatici. Gli elmetti erano usati come nidi per gli uccelli migratori. Assieme ai fili della luce erano usati come luogo di partenza all’inizio dell’inverno. Le uniformi militari non spaventavano neppure più i passeri. I più piccoli domandavano ai nonni cosa fosse stata la guerra. In pochi sapevano rispondere con esattezza. I tuoni delle bombe non li ricordava nessuno. Nelle ultime trincee si coltivavano ortiche e rose senza spine. L’arte della guerra non si insegnava più da nessuna parte. I gradi dei militari di carriera si scambiavano con la raccolta delle figurine.
L’ultima menzogna era partita per sempre. Le altre parole si erano ribellate alla tirannia. Le parole sovversive e quelle nate in esilio. Parole nuove di zecca. Parole immaginate e seminate tra i rovi. Avevano resistito alle minacce e alle deportazioni. Incarcerate per la loro ostinatezza. Torturate perché rivelassero l’autore. Votate allo sterminio dai politici di turno. Accusate di complottare contro l’ordine pubblico. Sorvegliate e schedate. Fucilate senza processo. Migravano da un quaderno all’altro. Quelle scolpite sulla pietra erano state cancellate dalla sabbia dei tiranni. Altre erano state ferite dall’indifferenza. I tentativi di evasione si erano moltiplicati. Le parole erano sbarcate non lontano dalle Colonne d’Ercole. I soccorsi erano giunti volutamente in ritardo. Parte delle parole era finito nella buona terra. Senza fare rumore i primi fiori cominciarono a spuntare il giorno seguente.
L’ultimo disoccupato aveva trovato lavoro come spazzacamino nel quartiere di fronte. La raccolta dei pomodori e la vendita di ombrelli era riservata agli stranieri. Le lavandaie usavano le vasche comuni. L’acqua di sapone profumato scendeva dai vicoli al mare. C’era chi riparava pentole di terracotta. Gli arrotini si erano organizzati in sindacato. I capitani di ventura sorvegliavano gli scolari all’uscita di scuola. I contadini ripresero a piantare carciofi. I vicini scambiavano uova con formaggio. I campanari suonavano a festa. Le ferie erano l’occasione per fissare la data di nozze.