Sento i vetri del salotto tremare. Per un attimo, giuro, penso al terremoto. Poi capisco: domenica mattina mio marito, preso dalla solita crisi tardo-adolescenziale, mette lo stereo a paletta. Me lo ritrovo in salotto preso da una specie di rapimento mistico che nel frastuono più totale ascolta una canzone (bellissima) dei Phosphorescent: Song for Zula. “Ascolta, ascolta il basso”, urla suonando uno strumento immaginario che tiene tra le braccia. È felice, mi sembra di rivedere il ragazzo che ho conosciuto venticinque anni fa. Poi, lo so già, attaccherà con i Radiohead, fino a scivolare inesorabilmente verso gli anni ‘80, “Someone, somewhere in summertime” dei Simple Minds, “Cry for love” di Iggy Pop, “Road to nowhere” dei Talking Heads. Fino a “With or without you” degli U2 con il basso che fa tremare la casa dalle fondamenta.
Quello che mi colpisce è la faccia dei nostri tre figli: sono entusiasti e confusi. Non – solo – per il volume della musica. Li stupisce vedere il padre comportarsi come un ragazzo. Osservo e mi chiedo che cosa passi in questi momenti nella loro testa. Chissà, forse sono felici di scoprire che papà ha anche lui dei sani attimi di follia. Che non è distante da loro. O magari li confonde vedere che gli adulti non sono sempre così seri (non dico seriosi), che sono bambini cresciuti. Capaci di conservare l’entusiasmo con la sua fragilità.
E mi riaffiora un pensiero che porto dentro dall’infanzia: non dico soltanto la scoperta che i genitori sono stati giovani. Di più: che lo sono ancora. Perfino oltre: che certi stati d’animo – l’entusiasmo, la meraviglia, il desiderio in tutte le sue declinazioni – non sono confinati nella giovinezza, ma è giusto portarseli dentro sempre.
Eppure ci confonde riconoscere nei nostri genitori slanci, piccole e grandi passioni che rendono fragili e vulnerabili. Che rivelano il nostro bisogno di trovare ancora nella vita occasioni e risposte. Penso al bellissimo libro “L’età delle promesse” di Mark Slouka che racconta gli anni dell’adolescenza. Già, il tempo delle promesse è finito. Non sempre i “grandi” poi le mantengono. E, però, vorrei dire ai miei figli: se potete, credete lo stesso a quello che vi diciamo. Alla nostra buona fede. Amateci così. Anche se non siamo forti come credevate.
Il Fatto Quotidiano, 5 ottobre 2014