Chi si è indignato di più per la pizza di Report? Ma i giornalisti del “food”, naturalmente, ai quali non è parso vero, sulle loro bacheche social, di spernacchiare Bernardo Iovene e la sua inchiesta, infiocchettandola con espressione del tipo: “Ma quante cazzate…” e altro sempre sul genere.

Dovete sapere che il giornalista di settore pensa di avere diritto di vita e di morte sul «suo» argomento e mal sopporta le intrusioni esterne. Accade in tutti i settori, sia chiaro, non è una patologia del food, ma certo quelli del food la pigliano peggio degli altri. Accadeva a noi giovani giornalisti sportivi, quando sui fatti planava l’inviato spedito dal direttore a fare il cosiddetto “colore”, o guardavamo sempre con un certo sospetto e poi, leggendone i pezzi, la conclusione era inevitabile: se restava a casa non sarebbe cambiato nulla.

Quelli del food, dicevamo, si sono incazzati di brutto per lo sfregio nel tabernacolo della pizza, alimento decisamente superpopolare e dai numeri (economici) impressionanti. Si sono incazzati soprattutto per un motivo, perché ora molte persone saranno autorizzate a pensare: ma voi dove stavate, perché queste cose che riguardano la nostra salute non le avete raccontate voi?

Se posso fare un appunto a Report e a Iovene: avrei temperato di più le dichiarazioni del professore veneto che con la massima disinvoltura parlava tranquillamente di elementi cancerogeni, non perché non fosse tutto estremamente certificato dalle indagini di laboratorio, ma perché quando si trattano argomenti definitivi come le patologie tumorali il linguaggio assume un’importanza almeno pari ai dati scientifici. Il linguaggio ha una sua funzione primaria (e qui non si parla semplicemente di una trasmissione televisiva) nel rapporto medico-paziente, ogni parola assume il peso di un macigno alle orecchie del paziente che in quel momento è in una condizione di fragilità e di subalternità assolute. E dunque se il medico ha il dovere della consapevolezza, ogni paziente ha diritto a un’informazione puntuale ma umanamente sensibile.

Detto ciò, la trasmissione ha avuto il grande merito di sollevare un velo sulla pizza, alimento nazional-popolare che acchiappa dai cinque ai cent’anni. Ci ha fatto vedere il pressapochismo irresponsabile di alcuni agenti del settore, non esattamente robetta visto che Iovene ha battuto, tra le altre, la pizzeria più famosa di Napoli, nel senso di tradizione e di enorme riscontro pubblico.

Definire come “tutte cazzate” ciò che abbiamo potuto vedere nell’inchiesta di Report da parte di certi giornalisti del food è un atto irresponsabile. E definisce in modo incontrovertibile quell’attitudine a sentirsi superiori rispetto al mondo esterno, rispetto agli altri”, quelli che non capirebbero di cibo, quelli che non ci possono arrivare. Ecco, per tutti questi ci è arrivato Report.

Come tutte le questioni trattate dalla televisione, anche questa ha delle reazioni scontate e se buttate un occhio alla Rete potrete facilmente capire che è iniziata una nuova liturgia popolare nel mangiare la pizza: invece che guardare la bellezza del suo lato a, la si volta alla ricerca della bruttezza del lato b, e cioè se sia troppo bruciata e dunque possibilmente pericolosa per la nostra salute. Non sarebbe male se in presenza di fenomeni popolari variamente incontrollati intervenisse il ministero di competenza, offrendo ai cittadini una duplice rassicurazione: da una parte la sicurezza dei controlli, e fatto questo, dall’altra l’invito a mangiare la pizza con la massima serenità perché è buona e fa bene.

Poi magari se di tutto questo se ne vogliono occupare anche i giornalisti del “food…  

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