In principio, fu “l’urbanistica contrattata”, la perspicua intuizione per cui si sostituiva a un sistema di regole valide per tutti, definite dagli strumenti della pianificazione urbanistica, la contrattazione diretta delle opere urbanistiche tra i privati portatori di interessi e le autorità pubbliche depositarie dei poteri decisionali.
Poi venne, più in generale, l’anatema contro “i lacci e i laccioli”: la libertà d’impresa, dunque l’imprenditore è un purosangue che deve vivere allo stato brado; se lo si rinchiude nel recinto delle regole, delle procedure, dei vincoli, “della burocrazia”, per non dire della minaccia delle sanzioni, s’incupisce e non investe più.
Si passò, quindi, al mantra della “semplificazione”: il discorso, di fondo, era sempre lo stesso, ma stavolta si provava a piazzarlo con un’altra ammaliante parola d’ordine, “la semplicità”.
Nella relazione di accompagnamento a un altro provvedimento legislativo “semplificatorio”, ovviamente un decreto legge, un recente governo di professori, per munire i propri intendimenti legislativi della dovuta persuasività, dismise pro tempore la Montblanc d’ordinanza per brandire l’ascia del boscaiolo e scrisse di voler “disboscare la giungla delle procedure”.
Quello stesso, rude, “legislatore – taglialegna”, però, nel medesimo testo normativo non lesinava perle di empatico bon ton come l’obbligo, per le autorità di controllo, di “collaborazione amichevole con i soggetti controllati”.
Saltando vari altri passaggi di questo lungo processo di autofustigazione dello Stato e di messa alla gogna di qualsiasi residua idea di regolamentazione pubblica, si arriva all’oggi, alla fulminante intuizione di emanare lo “sblocca Italia per risolvere i problemi burocratici”, secondo la prosa alata del Presidente del Consiglio.
E, a quel fine, per esempio, s’introduce il meccanismo del silenzio-assenso anche in materia di autorizzazione paesaggistica, sovvertendo, con il brio giovanile tipico di questo governo, il principio della “primarietà del valore estetico-culturale, assunto come insuscettibile di essere subordinato ad altri valori, ivi compresi quelli economici, e, perciò, capace di influire profondamente sull’ordine economico-sociale”, affermato più volte dalla Corte Costituzionale (sent. 151\1986).
Oppure, si smantella un’altra buona parte di quel che resta della regolamentazione dell’attività edilizia, con chicche come quella per cui “si permette a chi costruisce un nuovo quartiere di realizzare stralci funzionali invece dell’intera urbanizzazione. In questo modo gli operatori si limiteranno a investimenti minimi e non sarà più garantito il diritto a città decorose.” (‘Le mani sulla città‘ di Paolo Berdini e Daniele Nalbone)
Perché il problema principale, in questo paese, nella gran parte del suo corpo sociale, in alto e in basso, non è l’estraneità del principio di etica pubblica; l’assenza del concetto di cura del bene comune, in primis del territorio; l’allergia all’idea stessa di regole in ogni ambito sociale, a partire da quello ambientale ed edilizio; insomma quel capillare patrimonio di virtù “civili” che trasformano una, più o meno intensa, pioggia autunnale in un flagello divino per la terza città del fu triangolo industriale del paese.
No, il mostro da abbattere è “la burocrazia”, questo leviatano di cartapesta buono per tutte le stagioni, climatiche e politiche, in cui bisogna trovare un nemico altrettanto “virtuale” da combattere; in cui bisogna cambiare tutto perché, come sempre, nulla cambi.
Nel 1966, il senatore del Pci, Mario Alicata, in un intervento al Senato sulla frana di Agrigento, tenuto negli stessi giorni dell’alluvione di Firenze, ammonì: “Guai a noi se i responsabili dei fatti di Agrigento dovessero essere ‘amnistiati per alluvione’, cioè dovessero beneficiare, oltre che del sistema di omertà politica dal quale sono stati fin qui anche troppo favoriti, anche di una distrazione dell’opinione pubblica!”
Ecco, atti come il decreto “sblocca Italia” sembrano fatti apposta perché i responsabili reali dello scempio del territorio di Genova, e di quelli analoghi che ha subito in lungo e in largo il sedicente “belpaese”, non vengano “amnistiati” dall’alluvione, ma siano direttamente assolti, anzi premiati, per legge, anche grazie alla “distrazione dell’opinione pubblica”.
“Assoluzione e delitto lo stesso movente”, per dirla con il poeta di Via Del Campo.