Quello che si fa notare, però, nella tre giorni “grillina” è che il movimento che per primo e più di tutti ha esaltato e utilizzato la Rete come forma obbligata e privilegiata della politica alla fine ha dovuto riscoprirne una delle forme più antiche: il raduno di piazza, la festa dei militanti e degli elettori. Una festa dell’Unita 2.0. in chiave moderna e futurista. Senza salsicce, dibattiti paludati, balere del liscio. Ma con lo stesso spirito. I gazebo disseminati al Circo Massimo al posto degli stand delle sezioni locali: i fortunati, e riusciti, speak corner dei deputati al posto dello stanco rito dei dibattiti; il comizio finale pirotecnico invece del classico comizio politico – del resto Grillo è un conoscitore sopraffino della comunicazione. Tutto può essere ricondotto all’idea di fondo che spiegava il senso delle feste di partito e che oggi spiega la nuova fase del M5S.
Quei raduni, infatti, oltre a costruire il momento di apertura all’elettorato, il luogo privilegiato per far conoscere le proprie idee, i propri programmi, la propria capacità di stare sul territorio, erano anche un momento fondamentale di auto-riconoscimento per i militanti. Un luogo in cui un “popolo” prendeva consapevolezza di sé, si ritrovava e si riforniva di energia politica. Le feste dell’Unità, quelle dell’Amicizia o dell’Avanti, nella prima Repubblica, e poi, ancora dell’Unità o di Liberazione nell’ultimo ventennio, hanno rappresentato, insieme ai sempre più sporadici cortei di partito, un modo per strutturare un soggetto politico, per dare modo ai militanti di conoscersi e di sostenersi.
Questa novità è importante perché costituisce un’indicazione della volontà di rilancio del M5S dopo la frase di offuscamento seguita alle elezioni europee. Il punto è sempre quello: la battuta di arresto elettorale ha fatto segnare il passo a chi credeva che il proprio momento stesse per arrivare. Che il “sistema” fosse a un passo dallo sgretolarsi. Il 41% a Renzi ha detto che non è ancora così e che c’è ancora della strada da fare. Serve, quindi, attrezzarsi alla “lunga marcia” – anche se la stella renziana può appannarsi da un momento all’altro – e serve una compattezza che ha bisogno anche dell’incontro fisico, della mitica “piazza”. Il messaggio lanciato da Grillo al termine della tre giorni è, del resto, molto esplicito. E se, come sembra, questa piazza verrà replicata a livello locale, la dinamica sarà evidente.
L’unica incognita che ancora rimane irrisolta è che questa, ritrovata, dimensione della politica da sola non basta. Per sostenere uno scontro come quello che il M5S ha in mente di sostenere serve anche una strategia di più ampio periodo, un apparato politico-ideale più ampio del “no” che finora sembra aver costituito l’anima del movimento. Certo, risponderanno in molti, il M5S ha moltissime idee di cui, spesso, i giornali non parlano. Ma per strategia di insieme non si intende l’elenco delle proposte da portare avanti – ad esempio il reddito di cittadinanza – ma l’idea di società che si intende costruire. Non stiamo parlando delle alleanze che si possono ipotizzare perché c’è un passaggio che viene prima. Una volta l’idea di fondo era quella “liberale” o “socialista” o un mix di entrambe. Se partirà davvero la campagna per il “no all’euro”, questa avrà bisogno di spiegare cosa ci mette dopo: si ritorna allo stato nazionale, si propone una politica “autarchica”, si pensa ad alleanze tra paesi diversi? E quali? Grillo, ad esempio, fa spesso riferimento alla “decrescita” come idea di società che sottende alla sua politica ma non ha mai codificato questo schema. I vecchi partiti avrebbe fatto milioni di convegni. Chissà che, prima o poi, magari sempre in chiave 2.0. non ci siano anche questi.