“Questa è la sua firma? È la sua firma o no?”. “Io non lo so, se lei è in grado di dimostrare che quella è la mia firma, faccia”. “Sottosegretario, è la sua firma o no?”. “Non è la mia firma. No. Non è la mia firma”. Domenica 12 ottobre, alla Gabbia va in onda la bugia del sottosegretario al Lavoro Teresa Bellanova (Partito democratico), portata in tribunale da Maurizio Pascali, ex addetto stampa del Pd in Puglia, come ilfattoquotidiano.it ha già raccontato un mese fa. Lui dice che ha lavorato a lungo anche come collaboratore della stessa Bellanova (da anni parlamentare Pd) ma senza contratto. Lei, relatrice della legge Fornero che ha cancellato le false partite Iva, nega. E nega anche che la firma su un documento sia la sua. Mentre davanti al giudice aveva affermato il contrario. Una bugia che in altri Paesi avrebbe portato a lasciare l’incarico.
La vicenda nasce nel 2010. Pascali accetta un posto da addetto stampa per il Pd di Lecce. Le condizioni non sono tra le più vantaggiose: impegno full time, fine settimana compresi, pagamento con partita Iva, 600 euro netti al mese. Il contratto è siglato con una semplice stretta di mano. Niente firme. Da quel momento e per 39 mesi il lavoro è intenso, quanto l’impegno politico della Bellanova. Comunicati stampa, disegni di legge, relazioni di accompagnamento ai ddl, reperimento di temi di discussione e tutto ciò che serve a un politico e a un partito che si apprestano a vivere le competizioni elettorali regionali, comunali, politiche.
A fine mese Pascali fattura. Al netto di tasse e quant’altro restano circa 600 euro. Paradosso nel paradosso, Bellanova – ora sottosegretario al Lavoro e in precedenza anche sindacalista – nel 2012 è anche relatrice della legge Fornero, che tra l’altro dichiara “finte” le partite Iva aperte per ricevere un compenso derivante da un solo datore di lavoro, per il quale si presta servizio almeno 8 mesi all’anno, per almeno due anni consecutivi e con tanto di postazione fissa in un ambiente legato al committente. Proprio il caso del suo addetto stampa, Pascali. Con il quale comunque nel 2013 il rapporto di lavoro cessa.
Tra i due si tenta una conciliazione che non porta a nulla. Pascali insiste nel pretendere il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, con contratto nazionale di categoria e relativa differenza economica. Il sottosegretario resta ferma sulla sua posizione: era una collaborazione con null’altro a pretendere. Inizia, così, la diatriba legale che li vede tuttora contrapposti davanti al giudice. Tra i documenti depositati anche un documento con la firma di Teresa Bellanova nel quale la deputata tesseva le lodi di Pascali, ritenendo la collaborazione “proficua” e fondata sulla “serietà, puntualità e professionalità con cui ha sempre svolto la sua attività”. Ma se fino ad oggi la sottosegretaria accusava Pascali di aver utilizzato la lettera di referenze come testimonianza del lavoro subordinato e, quindi, estorta “con inganno e con raggiro perché sottoscritta in buona fede”, ora ne disconosce persino la firma. Eppure, in calce al documento di referenze stilato su carta intestata Camera dei Deputati, si legge proprio il suo nome. E nella deposizione davanti al giudice ha confermato di aver “sottoscritto” quella lettera.
Intanto all’ex addetto stampa non resta che farsi due conti in tasca. Il tesoriere del Pd di Lecce, nonché suo commercialista nei tre anni di lavoro, gli ha presentato il conto: 15mila euro di parcella. Che sottratti ai 27mila euro guadagnati all’epoca, ne lasciano a Pascali solo 12mila. Lordi, naturalmente.