Spalare, denunciare, o emigrare? Mi sembra che siano queste le alternative per un giovane italiano medio, oggi più di ieri.

Spalare: certo, ‘spalare insieme’ fa cittadinanza attiva, coesione sociale…ma non sembra sia servito a molto. Ho letto ‘gli Angeli del fango’ e mi stava venendo da vomitare (scusatemi), ma sono 50 anni che spaliamo.

Qui a Genova ‘città di montagna’ sulle costruzioni folli ci hanno mangiato tutti”- mi di dice Valerio, un amico caro tra i protagonisti del Terzo Settore in Liguria. “Le nostre organizzazioni hanno più volte denunciato la situazione, ma poi ci si ritrova ogni volta con la protezione civile, a spalare, anche in troppi. E’ incredibile che la giustizia amministrativa blocchi per anni 50 milioni di euro che avrebbero potuto cambiare la situazione e forse prevenire quest’ultima catastrofe” conclude mentre mi parla al telefono con la pala in mano dal garage allagato di un amico.

Denunciare: Il non profit è in larga parte impegnato a tappare buchi e a gestire l’esistente e l’emergenza.

Questo, credo, per diversi motivi:

  • Un approccio cattolico che fa del sacrificio un valore in sé e da maggiore attenzione all’emergenza che ai cambiamenti sociali

  • la convenienza nel gestire il ‘presente’ dove vi sono finanziamenti sicuri

  • la comprensibile scarsa propensione alla denuncia delle amministrazioni con cui ‘si lavora’ e spesso ‘si collude’

  • la scarsa considerazione di sé come ‘attore chiave’ di gestione del territorio e del futuro

  • la scarsa capacità e ‘modernità’ nel coinvolgere i giovani, anche ‘giocando’ un po’, di toglierli dai bar.

Legambiente, Greenpeace, Cittadinanzattiva e pochissime altre sono impegnate sui fronti della denuncia, ma con scarsa capacità di fare ‘massa critica’, di coinvolgere i giovani nella contestazione e nell’accertamento delle responsabilità, non solo nella gestione dei ‘fanghi’ o nella pulizia delle spiagge. E con modi un po’ vecchiotti, niente a che vedere se paragonati a quelli delle Ong anglosassoni, molto più creative e in grado di fare massa.

Per questo ritengo piattaforme di denuncia come Change.org o Avaaz ‘leve’ di gran lunga più utili delle ‘pale’. Sarei felice se il lettore le conoscesse e partecipasse alle tante campagne promosse. Un modo significativo per farsi sentire, al di la dello sconforto. Invito anche, con l’occasione, a visitare il Blog della collega Elisa Finocchiaro, Responsabile Campagne di Change.org.

Campagne, Advocacy, Lobbying, sono vie obbligate per realizzare cambiamenti sociali significativi e preventivi, e devono affiancare interventi di emergenza e progetti, cercare incisivamente e senza sconti le sponde governative, che in questo periodo sembrano molto più aperte.

Il ‘Campaigner’ è un mestiere ed una prospettiva professionale interessante seguita da persone con forte coscienza critica che vengono da ambiti di impegno politico e volontario e comprendono che bisogna cambiarle le regole, non affogarci dentro. Una disciplina che come scuola cerchiamo di promuovere al massimo, e non solo in Italia. Non possiamo chiedere ai giovani di ‘ricostruire’ sul fango, se non cambiamo i sistemi e le regole che li governano, a forza di denunce e proposte alternative. Più che a spalare, sarà meglio formare i giovani a denunciare, più che ad essere ‘angeli del fango’, ad essere ‘angeli vendicatori’.

Emigrare. Mia figlia ha 19 anni e vive a Londra –“Tutta un’altra cosa, papà-, dopo tre giorni ha trovato lavoro e colleghi accoglienti, si mantiene da sola e ragiona su cosa e dove studiare (Londra è troppo cara e ‘classista’ per lo studio). Gli altri due seguiranno a breve. Molti over 50 stanno andando all’estero, magari dopo due anni di disoccupazione qui, qualcosa di minimo trovano, e con il ‘lavoretto’ quel minimo di dignità che non li fa affogare nel fango.

Tanti corsisti della Scuola si sono affermati anche fuori, in Europa e nei Paesi in via di sviluppo, sviluppando metodologie ed esperienze innovative che poi ci restituiscono anche in veste di docenti, creano reti che facilitano l’inserimento agli altri. Non vogliamo favorire il ‘brain drain’, ma lo scambio.

Forse sbaglio, però non credo tanto al ‘coraggio di chi rimane’ dei giovani: più che coraggio la maggior parte delle volte credo sia un misto di pigrizia, paure dei genitori, ‘non sapere bene come fare’, mancanza di curiosità e di intraprendenza. I ragazzi italiani che incontro a Londra, dove spesso vivo, sono più adulti, tonici, liberi e soprattutto, Dio li benedica, allegri!

Un anno o più fuori, Erasmus o sabbatico, sono un antidoto forte ai mali italiani, fanno curriculum, formazione alla vita, fuori dalla confort zone e dal ‘particulare’ familiare.

Forse, i nuovi italiani, è meglio formali (anche) all’estero: meglio così che obbligarli a spalare il fango italiano.

P.s: ho idea di fondare un’associazione, ‘Fights for Rights’- se trovo abbastanza interesse e partecipazione tra avvocati, insegnati, manager e giovani-, e lavorare con le scuole superiori e le università, spiegare diritti ed economia, non profit ed innovazione. Se vi interessa, scrivetemi.

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