Articolo 18, il mercato è più forte delle leggi
Il nocciolo dell’articolo 18 si può affrontare scorrendo due liste.
La prima elenca le 10 maggiori società per capitalizzazione alla Borsa di New York nel 2013, la seconda riporta la stessa classifica per l’anno 2003. Le prime tre di dieci anni fa, General Electric, Microsoft ed Exxon Mobil erano ancora in classifica dieci anni dopo. Ma solo il colosso dell’energia (settore solido da oltre due secoli) ha visto aumentare il suo valore totale (grazie all’impennata dei prezzi petroliferi), mentre le altre due hanno deluso.
Nomi illustri del settore informatico come IBM, Cisco o Intel hanno ceduto il posto ad Apple che dall’orlo del fallimento ha raggiunto la vetta e a Google che nel 2003 non era ancora in Borsa. La corazzata bancaria Citicorp e il mammuth delle assicurazioni AIG (falliti e salvati dallo Stato) sono stati soppiantati da Wells Fargo e da JP Morgan Chase.
L’economia è un mutamento impetuoso. Si creano e si distruggono risorse e occupazione, si travolgono posizioni dominanti, si infrangono successi, si mutano prodotti e tecnologie.
Fuori dell’Italia accade spesso che per reggere la concorrenza le società chiudano una divisione senza futuro (licenziando chi vi lavora) e al tempo stesso ne aprano un’altra assumendo personale con qualifiche diverse. Tentare di arrestare l’innovazione con le scartoffie dei tribunali e i sofismi dei legulei devasta il motore della crescita.
Infatti le economie che funzionano meglio temperano gli aspetti negativi di questi mutamenti con un sussidio di disoccupazione universale abbinato a programmi rigorosi di riqualificazione (non le truffe della nostra formazione professionale regionale). Perdere il lavoro è un fatto della vita, particolarmente spiacevole, ma difficilmente evitabile. Il modo più efficace per minimizzarne le conseguenze non sono le carte bollate, ma trovarne uno nuovo al più presto in un settore con prospettive migliori. Il sindacato nell’emergenza del 1992-93 attraverso la concertazione imbastita da Ciampi accettò la moderazione salariale in cambio della sicurezza del posto del lavoro (limitata ai propri membri). Dopo oltre venti anni quella sicurezza sono in pochi a goderla e l’innovazione è inesistente, per cui l’economia rimane in piedi solo grazie a salari sempre più bassi.
Il Fatto Quotidiano, 8 ottobre 2014