Era tra i film favoriti a conquistare il Leone d’oro di Venezia. Ora l’ultimo film di Mario Martone, Il giovane favoloso, arriva in sala e debutta al cinema con 250 copie giovedì 16 ottobre. Ad assistere ci saranno anche molti studenti perché sono centinaia le prenotazioni arrivate dai provveditorati italiani.
“Non c’è bisogno di conoscere a memoria le poesie di Leopardi per andare a vedere questo film, si può – ha detto in un’intervista all’Ansa il regista – non conoscerlo affatto. Questa è la storia di un uomo speciale e immenso, complesso nelle sue contraddizioni, un rivoluzionario in lotta per la sua libertà contro le gabbie che la vita mette davanti a tutti noi, nella famiglia, nel lavoro, nella società. La gran parte di noi viene a patti con queste costrizioni, ci fa indossare delle maschere, ma lui preferisce romperle e vivere una vita piena, a costo di ricevere in cambio infelicità”. E così, riscoprire Leopardi, fare la sua conoscenza in maniera approfondita “è fare un viaggio anche dentro noi stessi”. Martone quel viaggio l’ha cominciato molto tempo fa: a Venezia disse che gli sembrava di aver fatto da sempre “un cinema leopardiano, fin da Tango glaciale dell’82, per temi e essenza”. E la sceneggiatura, firmata con Ippolita Di Majo, è diventata un libro (Mondadori Electa), in uscita martedì 14 ottobre. I testi del film sono tutti attinenti agli scritti di Leopardi: le poesie, lo Zibaldone, le Operette morali, e all’insieme del suo epistolario, una sorta di scrigno attraverso cui scoprire la sua vita, dalla giovinezza a Recanati con le giornate intere di studio nella biblioteca del padre, fino a Napoli con la composizione de La ginestra, il suo testamento poetico.
Il film, interpretato da un applauditissimo Elio Germano, è in particolare rivolto proprio ai giovani che potranno sentire vicino quel giovane ribelle. “Il tema della ribellione e della diversità lo rende vicino a noi – sul set Martone lo aveva definito un ‘Kurt Cobain dell’800’ – ma al tempo stesso immortale perché nelle sue poesie, come nella vita, tutto è autobiografico diceva Leopardi, c’è l’uomo da sempre”. Germano, che si è buttato a capofitto in un’impresa dalla quale esce con un’interpretazione da applausi, ha preparato “Giacomo” – lo chiama così solo con il nome – studiando prima delle riprese per 3-4 mesi, “un lusso vero per il cinema italiano” e quasi “non volevo andare sul set per continuare a studiarlo”. “Un attore – dice – può solo sognare di poter entrare in cotanti panni, in un mondo infinito così ricco che ogni volta che ti ci avvicini ti cambia. Leopardi ci insegna a vivere i nostri sentimenti, le nostre illusioni e io tutto questo dovevo restituirlo in carne: non è stato facile”. Germano di Leopardi si è innamorato, “perché tutta la sua vita e le sue opere affondano nella nostra inadeguatezza di persone. E a me, che faccio l’attore quasi per difendermi dal mio sentirmi inadeguato, è quello che sta a cuore più di tutto”.