Lisa, classe 1983, da quattro anni vive in Colombia. Delusa dalla mancanza di sbocchi professionali, se n'è andata. E, nonostante i problemi sociali nel nuovo Paese siano evidenti e gravi, ecco i motivi per cui non vuole tornare
“Qui la vita non è facile: c’è violenza, povertà e corruzione. Ma in quattro mesi sono riuscita a costruirmi quella vita che non sono riuscita a fare in Italia in cinque anni”. Lisa Troiano, classe 1983, di Pescara, diplomata all’Accademia di Belle Arti di Urbino, da quattro anni vive a Bogotà, dove insegna arte alla scuola paritaria “Leonardo Da Vinci”. A marzo si è sposata con Sergio, un colombiano che ha conosciuto in Italia, e vive in una casa di proprietà in uno dei quartieri centrali della città, barrio Palermo. “Qui abbiamo un buon tenore di vita – racconta – mentre in Italia non riuscivamo nemmeno a pagarci l’affitto. Quando ho conosciuto Sergio, ho avuto voglia di crearmi un inizio di vita stabile: una casa, un lavoro, una famiglia. Ma non ci siamo riusciti. Abbiamo girato diverse città: Roma, Urbino, Bologna, e non vedevamo luce”.
In ogni storia, poi, c’è la goccia che fa traboccare il vaso. “A Bologna ho portato curriculum ovunque – ricorda – musei, agenzie, bar, ristoranti. Sono finita in un call center, dove venivo pagata in base alle vendite. Un mese, era giugno e dovevo vendere vino, guadagnai 20 euro. Ho pagato l’autobus”. Anche lui era rimasto senza lavoro, dopo un progetto con una compagnia di teatro sperimentale, per la quale disegnava scenografie. È così che Lisa ha deciso di impacchettare le sue cose e di volare oltreoceano.
“Volevo fermarmi solo qualche mese, per cambiare aria dopo tante delusioni”, chiarisce. Ha quindi scritto un progetto di fotografia stenopeica e lo ha presentato alla Academia de Artes Guerrero di Bogotà per il Movin’Up, bando di concorso europeo rivolto ai giovani artisti. Il progetto è arrivato in ritardo per il bando, ma il direttore dell’accademia, Carlos Guerrero, lo ha letto comunque, lo ha trovato valido e lo ha approvato, fuori concorso. Era un laboratorio rivolto ai bimbi desplazados (che, per ragioni familiari o sociali, hanno dovuto lasciare casa): un percorso ludico-didattico di tre mesi alla scoperta del sé attraverso gli scatti. “Sono stata anche pagata – racconta Lisa – nonostante fossi fuori concorso. In Italia lo avrebbero cestinato subito, senza nemmeno leggerlo per capire se potesse contenere qualcosa di interessante”.
I primi tempi in Colombia, però, non sono stati facili. La violenza dilagante, la miseria, il conflitto armato e infine la cultura, estremamente diversa. “Ero scioccata. Qui è tutto diverso dall’Italia, perfino l’umorismo – racconta – All’inizio non capivo le battute che facevano i colombiani e loro rimanevano seri alle mie. Poi c’è tanta povertà, giovani che cadono prima nella coca, poi nel crack e finiscono in strada. Anche fuori Bogotà la vita è diversa, anche se non la vivo direttamente: è in corso la guerriglia della Farc contro il governo colombiano a cui si aggiungono le ingiustizie dei gruppi paramilitari nei confronti dei contadini. La Colombia ha un’eredità storica pesante a cui non è facile ambientarsi”.
Eppure, terminato il laboratorio, Lisa decide di rimanere in quella terra “ostile”. Certo l’amore ha fatto il suo, ma non è l’unico motivo che l’ha spinta a scappare dall’Italia e a metter radici in Colombia. Tre, i motivi principali. Punto primo: la soddisfazione nel lavoro, quella che l’Italia non le ha dato. “Qui vengo valorizzata veramente per quello che so e ho realizzato un piccolo sogno: quello di insegnare. In Italia sarebbe stata un’utopia”.
Dopo il laboratorio di fotografia, infatti, ha presentato lo stesso progetto ad alcune scuole private, una delle quali, la Leonardo Da Vinci, l’ha contattata per un colloquio. Le è stato proposto di insegnare e adesso insegna arte ai bimbi dai 6 agli 8 anni. “In Italia il mondo del lavoro è una casta che viene alimentata da un sistema universitario finalizzato solo a intascare soldi – spiega – La stessa riforma universitaria del 3+2 è una fregatura. Io dopo la triennale, volevo fare la Cobaslid (corsi biennali di secondo livello ad indirizzo didattico, ndr) ma dopo un mese mi dissero che non potevo farla perché non avevo 4 anni di università . Allora ho fatto la specialistica, ma ho seguito un programma identico alla triennale. Nel frattempo continuavano a tagliare fondi all’istruzione e le graduatorie per l’insegnamento si allungavano”.
Adesso sta terminando un master in educazione, con il quale potrà insegnare anche agli alunni più grandi. Motivo numero due: la cultura. “In Italia ci sono piccole realtà artistiche e culturali che lottano contro dei Golia – spiega – Cercano di farsi spazio, di sfondare, ma non ce la fanno. In Colombia invece ce la farebbero. Qui c’è un Ministero della cultura, con fondi, che riesce a promuovere tanti eventi. Ci sono: il festival latinoamericano di teatro e quello di punk rock più grandi dell’America latina. Poi c’è una miriade di eventi culturali. Bogotà, infine, è molto bohèmienne, stracolma di teatri dove vanno in scena, non solo le grandi compagnie, ma anche quelle più piccole, perché qui la cultura viene valorizzata e finanziata”.
Poi, la gente: è il terzo motivo per cui Lisa ha deciso di rimare in Colombia. “Io dico che quello che fa una città, non è la città stessa, ma le relazioni che si instaurano. Quello che c’è di bello qui è il valore delle amicizie e delle relazioni. Qui la gente ha il sorriso, anche se è povera. Qui ci si aiuta. Qui ci si diverte tutti i giorni, si balla, si beve, ci si ubriaca in famiglia. Ho imparato a ballare la salsa e la ballo con tutti. In Italia c’è, da una parte, una forma malsana di divertimento e, dall’altra, il pudore”. Ma Lisa ha intenzione di tornare in Italia? “Perché dovrei? L’Italia mi fa pena, tutti se ne vanno”.