Secondo l'agenzia Reuters la decisione del governo di rinviare al 2017 il pareggio strutturale di bilancio verrà giudicata come "una seria violazione", punibile con l'apertura di una "procedura per debito eccessivo". Il premier Matteo Renzi ha sentito al telefono Jean-Claude Juncker, che dall'1 novembre presiederà la nuova Commissione Ue. In serata un tweet del portavoce del commissario agli Affari economici Katainen precisa: "Aspettiamo il documento prima di sbilanciarci"
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha sentito al telefono il presidente designato della prossima Commissione europea, Jean Claude Juncker. Il colloquio, proprio alla vigilia dell’approvazione della Legge di Stabilità che approderà mercoledì pomeriggio in Consiglio dei ministri, apre inevitabilmente la strada a speculazioni sulla possibilità che i contenuti della “ex Finanziaria” scontentino Bruxelles. Speculazioni che “fonti Ue” citate martedì dall’agenzia Reuters danno per realistiche, riferendo che il progetto di bilancio italiano sarà giudicato anche sulla base del criterio di un aggiustamento strutturale di “almeno lo 0,7% del Pil”, richiesto già nell’ambito delle “raccomandazioni” recapitate a Roma il 2 giugno. Vale a dire che Roma dovrebbe trovare oltre 11 miliardi da utilizzare per ridurre il disavanzo di bilancio. Ma è noto che il governo ha deciso, al contrario, di rinviare al 2017 il pareggio strutturale. Lo ha confermato proprio martedì lo stesso ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che parlando dopo la riunione dell’Ecofin in Lussemburgo ha ribadito: “La correzione del deficit strutturale nella legge di stabilità resta dello 0,1%”. Ben sotto le richieste europee. Di conseguenza, nonostante l’ipotetico “sconto” che la Commissione potrebbe concedere alla luce del peggioramento del ciclo economico, il documento rischia di essere rispedito al mittente con la richiesta di modifiche. Uno scarto così ampio tra gli impegni italiani e le richieste della Commissione, ha detto la fonte, sarebbe valutato “come una seria violazione” e potrebbe quindi portare “eventualmente all’apertura di una procedura per debito eccessivo contro l’Italia”.
Per quanto non si conoscano ancora le cifre nel dettaglio, dalla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza si sa che sui 30 miliardi dichiarati dal premier come ammontare complessivo della manovra oltre 11 saranno coperti con un aumento del deficit, che il prossimo anno sarà portato al 2,9% del Pil dal 2,2% tendenziale. Esattamente, appunto, lo 0,7% del Pil, a cui Bruxelles potrebbe imporre di rinunciare in nome del rigore di bilancio. In quel caso gli interventi di spending review, recupero di evasione e riordino delle agevolazioni fiscali che Palazzo Chigi e il Tesoro progettano di mettere in campo per finanziare i circa 18 miliardi rimanenti non saranno sufficienti. Padoan si sarebbe tutelato – e lo ha confermato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti in un’intervista a diMartedì, su La7 – prevedendo un “cuscinetto” di circa 2,5 miliardi da destinare, in caso di richieste pressanti dalle istituzioni Ue, a una mini-correzione del deficit strutturale.
E’ anche vero che a esaminare la Stabilità, che dovrà essere inviata a Bruxelles subito dopo il varo, sarà in prima battuta la “vecchia” Commissione guidata da José Manuel Barroso, ancora in carica fino all’1 novembre. Ma la valutazione vera e propria arriverà dopo l’insediamento di Juncker e della sua squadra, in cui come è noto il “falco” Jyrki Katainen avrà il ruolo di vicepresidente responsabile del coordinamento di tutti i portafogli economici, con potere di veto anche sulle decisioni di Pierre Moscovici, futuro commissario agli Affari economici (ruolo oggi ricoperto dallo stesso Katainen). Tuttavia in serata Simon O’Connor, portavoce del finlandese, ha gettato acqua sul fuoco via Twitter (in italiano): “Mentre alcuni media vedono ‘avvertimenti’ in ogni parola pronunciata a Bruxelles”, ha scritto (in italiano), “noi aspettiamo il piano di bilancio prima di sbilanciarci”.
Fin dall’inizio del semestre europeo di presidenza, Renzi non fa che battere sul tasto della flessibilità e della necessità di dedicare risorse alla ripresa economica e all’occupazione. E sempre martedì, parlando a margine dell’incontro con il premier cinese Li Kegiang, ha rivendicato ancora una volta che “tutto il mondo, a parte qualcuno in Europa, capisce che la crescita è la cosa più importante”. Chiosa che sembra ritagliata addosso a Berlino, anche perché arriva il giorno dopo la dura accusa del presidente della Bundesbank Jens Weidmann, che ha definito l’Italia e la (ben meno virtuosa) Francia, mettendole in un unico calderone, “bambini problematici dell’Eurozona”. In compenso, peraltro, martedì Roma ha incassato un elogio di Moody’s proprio sul fronte dei conti pubblici: l’agenzia di rating ha confermato per il nostro Paese un outlook “stabile” scrivendo che “molti anni di consolidamento hanno portato ad un significativo surplus primario”. E “questa solida posizione di bilancio aiuta l’Italia ad avere favorevoli costi di finanziamento, con più tempo per attuare riforme a favore della crescita”. Giudizio positivo anche sul Jobs Act, che però “da solo non basta per passare da un sistema di contrattazione salariale centralizzato a uno decentrato o per aumentare la flessibilità dei salari”.