Il ministro dell'Istruzione ha avanzato la proposta nel corso di un'audizione in Commissione Cultura alla Camera. L'unico componente esterno sarebbe il presidente. Disal (associazione dei dirigenti scolastici): "Provvedimento di buon senso". Negativo il giudizio di insegnanti e sindacati
Addio ai commissari esterni alla maturità. Per la terza volta: Stefania Giannini non è il primo ministro dell’Istruzione a volere una commissione tutta interna per l’esame che conclude la scuola superiore. Prima di lei ci avevano pensato già Giuseppe Bottai nel 1940 e Letizia Moratti nel 2001. Con risultati non del tutto convincenti, se è vero che dopo pochi anni i loro successori avevano deciso di fare marcia indietro. Adesso la titolare di viale Trastevere ci riprova. E la motivazione principale, inutile nasconderlo, è di tipo economico: la svolta “autarchica” garantirebbe circa 140 milioni di euro l’anno.
Una cifra non trascurabile, in un momento in cui il governo progetta una riforma della scuola particolarmente onerosa (vista la stabilizzazione di 150mila precari), ed è anche chiamata dal Ministero dell’Economia a tagliare le spese in eccesso (si dice per circa un miliardo di euro). Della possibilità di una modifica dell’esame di maturità si parla da tempo. E infatti c’è un gruppo di esperti selezionati dal Miur che lavora a varie ipotesi di cambiamento.
Il ministro Giannini ha ribadito le sue intenzioni nel corso di un’audizione in Commissione alla Camera, precisando che il tema non fa parte de “La Buonascuola“ presentata dal premier Matteo Renzi; e spiegando che “c’è una riflessione in corso, che a giorni sarà completata dall’apposito tavolo di lavoro”. Ma se le anticipazioni saranno confermate, all’esame finale di liceo gli studenti verranno giudicati dai propri docenti, con la supervisione solo di un presidente esterno.
E la notizia suscita pareri discordanti nel mondo della scuola. Contrari, contrarissimi i sindacati, che parlano di “rischio diplomificio” e “regalo alle paritarie”. Negativo anche il giudizio della Gilda, l’associazione di categoria degli insegnanti: “Dobbiamo chiederci cosa vogliamo dalla scuola italiana: un diploma con un’attendibilità il più possibile simile su tutto il territorio o un semplice attestato di frequenza? È una questione culturale”, spiega il coordinatore nazionale Rino Di Meglio. “A questo punto – aggiunge – sarebbe più onesto abolire il valore legale del titolo di studio”.
Diversa, invece, l’opinione dei presidi. “Mi pare un provvedimento coerente, da tutti i punti di vista”, commenta Ezio Delfino, presidente della Disal, associazione dei dirigenti scolastici. “Didatticamente, chi è più adatto a giudicare uno studente di un professore che lo ha seguito per tre o cinque anni? Mentre il presidente di commissione assolverebbe le funzioni di garanzie”. “E poi – prosegue –, in questo momento un risparmio di oltre cento milioni sarebbe prezioso, a patto ovviamente di reinvestire quelle risorse sulla scuola”.
Mentre studenti, professori e dirigenti si interrogano sul futuro del diploma, a viale Trastevere continuano i lavori della commissione, che dovrebbe approdare a risultati concreti nelle prossime settimane. Il Miur ha messo nel mirino, tra le possibili voci da tagliare, i bonus che vengono corrisposti ai commissari d’esame: se per un interno il “gettone” è di circa 400 euro, per gli esterni si va da un minimo di 500 ad un massimo di 1500 euro in base alla distanza dalla scuola di appartenenza. Rinunciandovi, lo Stato potrà risparmiare oltre un miliardo di euro nell’arco di un decennio. Sempre che il prossimo ministro non la pensi diversamente da Stefania Giannini. E non decida di nuovo di tornare indietro.
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