Errata corrige. Il ministero dell’Economia, per quello che viene definito “mero errore formale”, ha scritto un numero per un altro nella nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza trasmessa alle Camere l’1 ottobre (ancora leggibile sul sito del Mef). Risultato: ballano 2 miliardi. Miliardi di spesa in più rispetto a quella quantificata nel testo presentato dal ministro Pier Carlo Padoan. La revisione dell’avanzo primario per il 2014 determinata dall’adozione del nuovo sistema di contabilità Esa 2010 “genera un aggravio di spesa di circa 3,3 miliardi rispetto alla previsione dello scorso aprile, basata sul principio di cassa”, e non di 1,3 miliardi di euro come precedentemente scritto nella nota di aggiornamento del Def, si legge in uno degli errata corrige depositata dal Tesoro nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato. Non solo: il Tesoro ha comunicato modifiche anche sulle stime dell’impatto delle riforme sul pil, rivisto al rialzo di 0,3 punti percentuali rispetto a quanto scritto nella versione originaria. E ha deciso di eliminare con un colpo di spugna il riferimento agli effetti di minor crescita, pari a 0,3 punti percentuali per il 2015 e 0,1 per il 2016, che deriverebbero da un’eventuale “manovra di spesa pubblica di 0,9 punti di Pil nel 2015” adottata “per convergere all’obiettivo di medio periodo rappresentato dal pareggio di bilancio in termini strutturali”.
Insomma: via XX Settembre chiede al Parlamento di non tener conto della parte della Nota in cui si delineavano gli effetti negativi di questo taglio di spesa, utilizzandoli per spiegare per quale motivo l’esecutivo di Matteo Renzi ha deciso di non effettuare quelle sforbiciate e rimandare invece il pareggio di bilancio al 2017. Operazione, come è noto, già finita nel mirino di Bruxelles, che attende per questa sera l’invio della Legge di Stabilità. Nel testo dell’1 ottobre si leggeva tra l’altro: “Si avrebbero effetti negativi sugli investimenti e sui consumi che si estenderebbero sino al 2018. Se invece l’ammontare dei tagli di spesa ipotizzati per il 2015 fosse pari a 2,2 punti percentuali di Pil, ovvero l’entità della manovra richiesta per rispettare anche la regola del debito, l’impatto sulla crescita risulterebbe negativo per 0,8 punti percentuali nel 2015 e di ulteriori 0,1 punti percentuali nel 2016. In particolare si avrebbe una forte riduzione degli investimenti e una contrazione dei consumi delle famiglie di 0,3 punti percentuali per ciascun anno”.
Il vice ministro all’Economia Enrico Morando ha spiegato inoltre alla V Commissione di Palazzo Madama che nella errata corrige sulla relazione, rispetto alla versione iniziale, “viene rivista la valutazione circa gli effetti sulla domanda aggregata che si sarebbero determinati qualora si fosse deciso di non utilizzare il margine di bilancio oscillante tra il 2,2% tendenziale e il 2,9% programmatico nel rapporto deficit/Pil per il 2015”.
Correzioni anche sulla tabella che prefigura gli effetti sul prodotto interno lordo delle riforme strutturali messe in campo dal governo. Nel lungo periodo, ritiene ora il Tesoro, gli interventi su Pubblica amministrazione, giustizia, competitività e lavoro faranno aumentare il pil non di 0,7, ma di 1 punto percentuale: +0,3 rispetto ai calcoli iniziali.